Atene, 13 mag – La notizia che il governo greco avrebbe pagato al Fondo monetario internazionale la rata da 770 e passa milioni, in scadenza ieri, aveva permesso di tirare un sospiro di sollievo. Nonostante l’Eurogruppo di lunedì si fosse concluso con un nulla di fatto, nonostante la crisi di liquidità, nonostante il decreto di emergenza con il quale l’esecutivo si è appropriato delle eccedenze di cassa degli enti locali, Atene è riuscita a saldare con il Fondo la rata più consistente del piano di rimborso.
Sul rispetto della scadenza da parte del ministero delle finanze ellenico circolava più di qualche dubbio. Con il governo in difficoltà a rispettare il pagamento di stipendi pubblici e pensioni e senza lo sblocco dell’ultima tranche da 7.2 miliardi del piano di salvataggio, non era scontato che Atene riuscisse a raccogliere le risorse da versare all’ente guidato da Christine Lagarde.
In effetti, così è stato. Atene ha infatti attinto, generosamente, per 650 milioni dalle riserve costituite proprio presso il Fondo monetario, utilizzando i diritti speciali di prelievo (special drawing rights – Sdr), l’unità di conto del Fmi che, in questo caso, hanno assunto in qualche modo la valenza di prestito di ultima istanza. Nient’altro che una partita di giro, un rimborso fatto con risorse di competenza del creditore. Il default è stato paventato, in altri casi, anche per molto meno.
La soluzione scelta dall’esecutivo diventa così una soluzione-tampona che risolve solo momentaneamente l’emorragia dalle casse del paese. Le riserve presso il Fondo monetario devono infatti essere ricostituite, da regolamento dell’ente, entro un mese. Da qui a metà giugno, quindi, Atene sarà di nuovo punto e a capo. In più, nei primi giorni del mese prossimo il governo ellenico sarà chiamato al rimborso di ulteriori due rate del prestito, per un totale di altri 650 milioni. Scadenze che si assommeranno alla necessità di dover rimpinguare le riserve, facendo così salire l’asticella a ben oltre gli 1.2 miliardi di euro.
In assenza di un accordo con Fmi stesso, Bce e Unione Europea, il destino della penisola ellenica sembra essere segnato. Varoufakis e Tsipras stanno pian piano esaurendo le carte da giocarsi con i creditori, traccheggiando per quanto possibile. L’accordo probabilmente si troverà, ma Syriza dovrà rinunciare a tutte le promesse elettorali che le hanno consentito di arrivare alla quasi maggioranza assoluta nelle elezioni di gennaio. Al contrario, per la Grecia si apre il piano B (ammesso che un piano A sia mai esistito) che porterebbe all’uscita del paese dalla moneta unica. A meno che non intervenga il commissariamento d’imperio, come già accaduto in Italia nel 2011.
Filippo Burla