Roma, 7 ott – Incassata la fiducia, una delle sfide che si prepara ad affrontare l’esecutivo Letta riguarda il peso del cuneo fiscale. Si tratta di quella consistente fetta di oneri –divisa tra lavoratori e imprese– che fa lievitare il costo del lavoro tra i massimi in Europa.
L’ammontare della tassazione complessiva in sé varia a seconda dei parametri presi in considerazione, passando da un minimo del 47% calcolato dall’Istat ad un massimo del 53% stimato dall’ufficio studi di Confindustria. Questo significa che, fatto 100 il costo totale del lavoro per l’impresa, la retribuzione lorda percepita dal prestatore di lavoro si attesta a 72; 51 invece quella netta. Lo squilibrio ha così raggiunto una situazione ai limiti della sostenibilità, circostanza aggravata dal fatto che l’ultima riforma Fornero ha fin aumentato gli oneri anziché diminuirli.
Quali risorse e come reperirle? Le prime bozze di intervento prevedono un impegno complessivo pari a 4-5 miliardi di euro, anche se attualmente le risorse disponibili in legge di stabilità ammontano a soli 2-2.5 miliardi. I fondi saranno ottenuti attraverso un rinnovato impegno nella spending review affidata al commissario di scuola Fmi Carlo Cottarelli. L’obiettivo sembra fin troppo fuori portata, stanti i molteplici tentativi degli scorsi anni che si sono scontrati con clientele, centri di potere, burocrazie ministeriali gelose delle proprie posizioni. Una seconda e complementare opzione riguarda invece una revisione dell’Irap. Questa imposta, come noto, colpisce il reddito d’impresa al lordo del costo del lavoro, incidendo quindi maggiormente su quelle aziende ad alta intensità di manodopera e penalizzando di fatto chi assume. Una sua rimodulazione complessiva sembra però difficilmente praticabile se non in un quadro di più ampio respiro, dato che l’Irap da parte sua finanzia una quota consistente di una spesa sanitaria già soggetta in tempi recenti a pesanti tagli lineari. Per ora l’unica certezza sembra quindi essere il solo alleggerimento dei contributi Inail, stante l’attuale equilibrio finanziario dell’ente.
Ammesso che si possa raggiungere il traguardo sperato, l’aggiustamento darebbe tuttavia solo una minima correzione. Confindustria stima infatti ad almeno 50 miliardi l’intervento necessario al fine di recuperare il divario di produttività che ci vede esposti nei confronti dei partner europei più importanti – Germania in primis.
Il presidente dell’associazione degli industriali Giorgio Squinzi ha più volte lanciato l’ipotesi di sostituire ai contributi alla produzione una riduzione del carico del fisco in via strutturale. Si tratterebbe però a questo punto di una riforma sul medio termine, che oltre alla volontà politica abbisogna anche della ridefinizione dei vincoli di finanza pubblica a partire dall’ormai troppo stretto tetto del 3% al deficit.
Filippo Burla