Washington, 24 dic – E’ il botto di fine anno: gli Usa tornano a marciare forte. Nell’ultimo trimestre il Pil schizza a +5%, con un notevole rialzo sulle previsioni e sul precedente periodo, già in crescita del 3.9%. Un risultato che gli Stati Uniti non raggiungevano dal lontano 2003. La crisi, dall’altra parte dell’Atlantico sembra così essere definitivamente alle spalle.
Festeggiano i mercati, festeggia l’anglofono Matteo Renzi. Un risultato da ascrivere all’amministrazione Obama e ad illuminati manager alla Marchionne? Piuttosto alla Federal Reserve e alla capacità speculativa della finanza americana.
Chiariamo e riavvolgiamo il nastro al 2008, anno in cui scoppia negli Usa la bolla dei mutui subprime ed inizia il crollo del sistema bancario a stelle e strisce: all’improvviso il velo che celava un’economia fittizia e drogata, cade. La situazione precipita, fallisce Lehaman Brothers, e l’intero sistema finanziario americano è sull’orlo di un clamoroso fallimento tecnico.
A quel punto interviene Henry Paulson, Segretario del Tesoro, che stanzia tramite la Fed una clamorosa iniezione di liquidità tarocca (cioè a tasso zero) pari a 8 mila miliardi di dollari. Sì, sì, avete letto bene, 8.000 miliardi di dollari, che fra il 2009 e il 2011 servono a nazionalizzare gli asset tossici dei subprime e salvare decine e decine di banche americane.
Siamo al dunque: come trasformare tanta carta straccia in denaro vero, in moneta sonante, per far ripartire il gioco dell’americanissima crescita a debito? Siamo nel 2011, le agenzie di rating americane cominciano a declassare i debiti dei Pigs europei: parte la scorribanda della speculazione, dello spread, e dell’acquisto di Bond statali ad alto rendimento e di asset strategici svenduti a buon mercato da Italia, Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo. Per noi, e per tutta Europa, Germania compresa, è l’inizio di una stagnazione senza uscita. Per gli Usa, l’inizio di un nuovo ciclo. Buon Natale, Italiani.
Giacomo Petrella