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Roma, 21 ago – L’Italia non è come la Grecia. Non lo è per il potenziale economico che rappresenta. Perchè nonostante i lunghi anni di crisi restiamo pur sempre la terza economia dell’Eurozona. Ma soprattutto per quella capacità produttiva industriale che gli ellenici non hanno mai avuto più rivolti ad un’economia di tipo primario.
E quindi, l’Italia non è come la Grecia ma a volte la imita e ne segue pedissequamente le stesse orme.
E’ notizia recente che Invitalia, una società controllata dal Ministero del Tesoro, abbia deciso di mettere in vendita cinque marine turistiche per un patrimonio complessivo stimato in 50 milioni di euro. L’Italia non è la Grecia, ma come il paese ellenico si mettono all’asta alcuni dei porti più prestigiosi lungo litorali meta del turismo d’élite.
E così scopriamo che all’asta sono finiti i moli di Capri, la marina d’Arechi nel golfo di Salerno, la marina di Portisco in Costa Smeralda, il porto delle Grazie a Roccella Jonica, in Calabria e l’area di Porto Lido a Trieste.
Nel computo totale si parla di circa 25 mila posti per le imbarcazioni, in zone che Invitalia dieci anni fa intendeva valorizzare per attirare investimenti e promuovere lo sviluppo turistico dei porti.
Poi sono arrivati i problemi giudiziari a carico dell’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri e del capo della gestione smaltimento rifiuti di Roma Manlio Cerroni, indagati per frode e abuso d’ufficio. I ritardi nella pubblicazione del bando hanno ulteriormente disseminato di ostacoli l’operazione di dismissione dei moli che ancora oggi presenta non pochi dubbi.
Due parlamentari del Pd, Vincenza Bruno e Nicola Stumpo, nel frattempo, firmano un’interrogazione parlamentare nella quale evidenziano come le modifiche apportate da Invitalia al bando di dismissione dei moli, presentino nel dettaglio alcune anomalie, come la riserva di una quota del 31% a favore di enti e/o imprese pubbliche. Una modifica che a detta dei due parlamentari introduce una limitazione di acquisto ai privati che in sostanza si concretizza in una palese agevolazione a favore degli enti comunali interessati all’acquisto.
Nessun segreto quindi nel caso di Roccella Jonica, dove lo stesso ente comunale ha formulato un’offerta di acquisto a Invitalia nonostante sia presente una norma che impedisce ai comuni con meno di 30 mila abitanti di detenere partecipazioni.
O a Capri dove il consiglio comunale ha deliberato l’acquisto del 49% della partecipazione del porto obbligando Invitalia a non cedere la rimanente quota a privati. E difatti fra le buste d’asta presentate c’è quella del confinante comune di Anacapri.
Insomma, siamo di fronte ad una “creativa” ed “innovativa” nuova formula di privatizzazione dove lo Stato vende ai comuni cedendo oneri e diritti come se fosse un sistema di vasi comunicanti.
Da una parte abbiamo il Pd che spinge, nella più fedele ortodossia liberista, verso la privatizzazione selvaggia, dall’altra le esigenze di spartizione borbonica tipiche della politica italiana.
No, l’Italia non è come la Grecia, ma a volte riesce ad essere anche peggio.
Giuseppe Maneggio
Roma, 21 ago – L’Italia non è come la Grecia. Non lo è per il potenziale economico che rappresenta. Perchè nonostante i lunghi anni di crisi restiamo pur sempre la terza economia dell’Eurozona. Ma soprattutto per quella capacità produttiva industriale che gli ellenici non hanno mai avuto più rivolti ad un’economia di tipo primario.
E quindi, l’Italia non è come la Grecia ma a volte la imita e ne segue pedissequamente le stesse orme.
E’ notizia recente che Invitalia, una società controllata dal Ministero del Tesoro, abbia deciso di mettere in vendita cinque marine turistiche per un patrimonio complessivo stimato in 50 milioni di euro. L’Italia non è la Grecia, ma come il paese ellenico si mettono all’asta alcuni dei porti più prestigiosi lungo litorali meta del turismo d’élite.
E così scopriamo che all’asta sono finiti i moli di Capri, la marina d’Arechi nel golfo di Salerno, la marina di Portisco in Costa Smeralda, il porto delle Grazie a Roccella Jonica, in Calabria e l’area di Porto Lido a Trieste.
Nel computo totale si parla di circa 25 mila posti per le imbarcazioni, in zone che Invitalia dieci anni fa intendeva valorizzare per attirare investimenti e promuovere lo sviluppo turistico dei porti.
Poi sono arrivati i problemi giudiziari a carico dell’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri e del capo della gestione smaltimento rifiuti di Roma Manlio Cerroni, indagati per frode e abuso d’ufficio. I ritardi nella pubblicazione del bando hanno ulteriormente disseminato di ostacoli l’operazione di dismissione dei moli che ancora oggi presenta non pochi dubbi.
Due parlamentari del Pd, Vincenza Bruno e Nicola Stumpo, nel frattempo, firmano un’interrogazione parlamentare nella quale evidenziano come le modifiche apportate da Invitalia al bando di dismissione dei moli, presentino nel dettaglio alcune anomalie, come la riserva di una quota del 31% a favore di enti e/o imprese pubbliche. Una modifica che a detta dei due parlamentari introduce una limitazione di acquisto ai privati che in sostanza si concretizza in una palese agevolazione a favore degli enti comunali interessati all’acquisto.
Nessun segreto quindi nel caso di Roccella Jonica, dove lo stesso ente comunale ha formulato un’offerta di acquisto a Invitalia nonostante sia presente una norma che impedisce ai comuni con meno di 30 mila abitanti di detenere partecipazioni.
O a Capri dove il consiglio comunale ha deliberato l’acquisto del 49% della partecipazione del porto obbligando Invitalia a non cedere la rimanente quota a privati. E difatti fra le buste d’asta presentate c’è quella del confinante comune di Anacapri.
Insomma, siamo di fronte ad una “creativa” ed “innovativa” nuova formula di privatizzazione dove lo Stato vende ai comuni cedendo oneri e diritti come se fosse un sistema di vasi comunicanti.
Da una parte abbiamo il Pd che spinge, nella più fedele ortodossia liberista, verso la privatizzazione selvaggia, dall’altra le esigenze di spartizione borbonica tipiche della politica italiana.
No, l’Italia non è come la Grecia, ma a volte riesce ad essere anche peggio.
Giuseppe Maneggio