Roma, 17 ago – La Cgia di Mestre non ha dubbi, in Italia le imprese guidate da stranieri sono in continuo aumento con una crescita tra 2013 e il 2014 del 4,1 per cento arrivando ad oltre 733.000 unità. Gli immigrati provenienti dal Marocco guidano questa speciale classifica con 74.520 imprese, seguiti da romeni, con 70.104 e, subito dopo, la Cina, con 69.401.
Particolare attenzione deve però essere focalizzata sulle imprese gestite da cinesi visto che soltanto nell’ultimo anno sono salite del 5,1 per cento, con quasi 69.500 aziende ed un aumento rispetto al 2009 del 39,2% contro il 22,5% di media dell’imprenditoria straniera nel nostro Paese.
I settori nei quali gli imprenditori provenienti dal Paese asiatico si sono concentrati sono quelli ormai particolarmente conosciuti: il commercio con circa 24.500 attività, il manifatturiero con più di 18.000 imprese (quasi tutte nel tessile-abbigliamento e calzature) e la ristorazione-alberghi e bar, con circa 14.800 aziende. Da segnalare la crescita esponenziale nel settore dei servizi alla persona – parrucchieri, estetiste e centri massaggi – con poco più di 4.100 unita’, con un aumento tra il 2013 ed il 2014 addirittura del 22,4 per cento.
I dati dovrebbero far riflettere, soprattutto, sulla questione della legalità e del rispetto delle normative, non solo tributarie e previdenziali, ma anche sanitarie e della sicurezza alimentare. Infatti la crescita dell’imprenditoria cinese sta avvenendo proprio in settori nei quali è più agevole l’evasione fiscale (soprattutto nel commercio ambulante) , mentre i continui controlli della Guardia di Finanza e dell’Inps in particolare in distretti industriali del settore tessile e pellettiero, come Prato e Firenze, hanno evidenziato oltre ad un intenso sfruttamento del lavoro nero anche la piaga della contraffazione di prodotti di alta moda, mentre nel settore dei servizi alla persona ciò che stupisce è come sia possibile l’apertura massiccia di attività che richiedono particolari abilitazioni e patentini rilasciati da enti pubblici – ad esempio per l’attività di estetisti e parrucchieri – e che non sia stato ancora approntato un serio e capillare piano di controlli sia a tutela delle attività commerciali in regola con le normative che subiscono una vera e propria concorrenza sleale, sia a tutela della salute dei clienti che rischiano di finire in mani inesperte che possono provocare gravi danni alla persona. A ciò si aggiungano le ripetute violazioni in materia di sicurezza alimentare da parte dei ristoranti e delle rosticcerie cinesi.
Il vero problema e la concausa di questa situazione è che se da una parte non vengono effettuati controlli e verifiche sistematiche che pongano fine a pratiche illegali ormai consolidate, dall’altro lato gli imprenditori stranieri, ed in particolare i cinesi, sfruttano le difficoltà degli organi di controllo italiani nel rintracciare gli autori delle violazioni soprattutto quando gli stessi imprenditori, non avendo sviluppato un forte radicamento con il territorio, fanno perdere le loro tracce. O peggio ancora quando i reali imprenditori, occulti, utilizzano prestanome connazionali nullatenenti e che si rendono irreperibili con estrema facilità.
Sempre la Cgia ha incentrato l’attenzione anche sulle rimesse inviate in patria dai cittadini cinesi che avrebbero subìto un drastico calo, del 69,4 per cento, molto piu’ intenso rispetto al totale degli stranieri (-21,9 per cento). Passando dai 2,67 miliardi del 2012 ad appena 820 milioni di euro nel 2014. Viene da chiedersi, però, se l’incremento drastico del numero delle imprese cinesi negli ultimi anni sia realmente compatibile con il decremento altrettanto drastico delle rimesse nel Paese di origine o non si abbia avuto invece un aumento dell’utilizzo di canali di trasferimento “non ufficiali” dopo che un’indagine della Guardia di Finanza ha portato ad indagare la filiale milanese della Bank of China per riciclaggio proprio per il flusso di denaro, proveniente da attività illecite in Italia, che veniva indirizzato verso la Cina.
Walter Parisi
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