Siena, 9 dic – La Banca centrale europea non ha concesso la proroga richiesta da Mps per posticipare la data entro la quale completare la ricapitalizzazione. Una mina che scoppia nelle mani dell’istituto senese nel momento peggiore, senza un esecutivo in carica e in un lungo fine settimana di ponte dell’Immacolata. Circostanza che prelude a possibili scenari anche avversi sia per la banca che per i risparmiatori, tanto da far crollare il titolo in Borsa ad un roboante -11% in una seduta fino ad allora stabile su un leggero calo.
I fatti. Mps, stanti le difficoltà e le bocciature ai recenti stress test, è chiamata da Francoforte ad una ricapitalizzazione da almeno 5 miliardi di euro, da completarsi entro fine anno. Dal Monte arriva però, nei giorni scorsi, la richiesta di allungare la scadenza almeno al 20 gennaio per avere più tempo a disposizione in un contesto di mercato ballerino e senza un governo a Palazzo Chigi. In una lunghissima riunione, con il consiglio apparentemente spaccato, la Bce ha però costretto la banca ad adeguarsi: la ricapitalizzazione, in un modo o nell’altro, è da concludersi entro il 31 dicembre. Non un giorno in più.
C’è un problema: mettere a punto una raccolta tale in meno di venti giorni è impresa non impossibile, ma proprio al di fuori di qualsiasi fattibilità specialmente dal punto di vista tecnico. Anche se ti chiami Mps e sei la banca più antica del mondo, anche se i tuoi consulenti sono JpMorgan e Mediobanca. A questo punto l’unica via percorribile è quella del prestatore di ultima istanza, il tanto temuto (dal mercato) soggetto pubblico chiamato ad intervenire da quando abbiamo deciso di cedere la sovranità monetaria all’estero. Ecco lo Stato, che torna in grande spolvero quando il gioco si fa duro per socializzare le perdite dopo che son stati privatizzati tutti gli utili. Il ministero sarebbe già al lavoro per immettere la liquidità fresca che serve al Monte dei Paschi per salvarsi, una nazionalizzazione in piena regola per un istituto che è stato “privatizzato” del tutto – anche se è presente a Piazza Affari dal 1999 – solo negli ultimi anni, con la Fondazione (espressione degli enti locali della provincia toscana) a ridurre progressivamente la sua quota per far fronte ai debiti. A questo stesso periodo risale anche il primo intervento pubblico, con i Tremonti prima e Monti bond dopo, trasformati a scadenza in capitale, che hanno fato tornare via XX Settembre fra gli azionisti di peso. Ora la quota è destinata a crescere, portando con sé però una scia di sangue. Perché insieme all’intervento dello Stato tramite la ricapitalizzazione dovremo fare i conti con la disciplina del burden sharing, che prevede di far compartecipare al salvataggio gli azionisti e i titolari di obbligazioni subordinate, che si troverebbero da un giorno all’altro con meno di un pugno di mosche in mano. Ricordate cos’è successo a Banca Etruria e le altre con l’improvvida applicazione anzitempo dei bail-in? Ecco, siamo nella stessa identica situazione. Solo che non si tratta più di qualche piccola banca locale, ma di Mps che fino a pochi anni fa era il terzo istituto italiano. E i risparmiatori coinvolti potrebbero essere potenzialmente decine di migliaia.
Filippo Burla