Roma, 7 nov – Se la CO2 è un pericolo perché non la “catturiamo”? Difficile da farsi, ma non impossibile. Questo è quello che si evince dalle parole del nostro presidente del Consiglio alla COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Glasgow. Draghi ha detto che “nel lungo periodo le energie rinnovabili possono avere dei limiti e quindi occorre investire in tecnologie innovative”. Quest’affermazione, di per sé scontata, apre la strada ad un ambizioso progetto dell’Eni sulla cattura dell’anidride carbonica. Andiamo con ordine.
I limiti delle rinnovabili
Le rinnovabili, come il solare e l’eolico, hanno un grosso limite: sono intermittenti. La capacità di generare energia è legata alle condizioni metereologiche. E non solo a dire il vero. Bisogna chiedersi anche di quanti soldi e di quanta terra avremo bisogno per installare tutti i pannelli solari e tutte le pale eoliche che ci serviranno nel quadro della transizione ecologica. Autorevoli studi dimostrano che con il 100% di energia green raddoppierà il costo di produzione dell’elettricità e l’efficienza di rete precipiterà a livelli da terzo mondo (25% di perdite).
Ci dispiace per la povera Greta ma difficilmente possiamo andare avanti solo grazie al vento e alla luce del sole. Le rinnovabili, almeno allo stato attuale, non sono inoltre in grado di sostituire totalmente i combustibili fossili nell’alimentazione di tutta una serie di industrie (cemento, acciaio, chimica) e di mezzi di trasporto (aerei, navi, treni a lunga percorrenza). Sono settori definiti “hard to abate“, cioè difficili da alimentare con energia elettrica pulita (prodotta da fonti rinnovabili) e quindi da decarbonizzare. Ecco perché Draghi propone l’utilizzo tecnologie che consentono appunto di catturare le emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte da stabilimenti vari ed evitarne l’immissione nell’atmosfera.
Così Eni “cattura” l’anidride carbonica
Come spesso avviene anche in questa fase di transizione energetica, Eni si fa trovare pronta. In particolare nel mondo CCS (Carbon Capture and Storage) e CCU (Carbon Capture and Utilization) e cioè delle tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio si sta muovendo il centro ricerche di San Donato Milanese e quello per le energie rinnovabili e l’ambiente di Novara.
Grazie alle tecnologie CCS e CCU l’anidride carbonica “può trasformarsi da costo a opportunità e questo è vero soprattutto per l’industria dell’energia, che possiede le competenze tecniche ed organizzative per realizzare questi grandi progetti con efficienza, rapidità ed in totale sicurezza”. Eni, infatti, si sta muovendo a livello internazionale per creare sinergie con gruppi stranieri che operano in questo campo. L’accordo di collaborazione riguarda il progetto HyNet North West per la creazione di un polo industriale a basse emissioni nel Regno Unito. Nella stessa nazione è in cantiere Net Zero Teesside, sulla costa nord-orientale del paese. Fortunatamente il cane a sei zampe volge sempre il suo sguardo verso l’Italia e in particolare a Ravenna. Vediamo come.
Il progetto di Ravenna
Nel campo dello stoccaggio “la presenza di campi a gas esauriti e asset dismessi nell’offshore di Ravenna offre l’opportunità unica di realizzare un grande hub per lo stoccaggio della CO2 proveniente dalle attività produttive della terraferma, come ad esempio le centrali a gas a ciclo combinato di Enipower”. Questo progetto non punta soltanto a “decarbonizzare” le emissioni dell’Ente nazionali idrocarburi. C’è la volontà di realizzare nel Medio Adriatico il centro Eni di cattura e stoccaggio di anidride carbonica di riferimento per l’Italia e per il Mediterraneo.
Si offre così una soluzione concreta a tutti quei settori industriali strategici del nostro paese, come il cemento, l’acciaio, le cartiere e la chimica, che contribuiscono a circa il 20% delle emissioni italiane e per i quali oggi non vi sono alternative tecnologiche percorribili in tempi rapidi. Quanto detto finora dovrebbe rendere entusiasti tutti gli italiani. Si tratta di una partecipata di Stato che stacca notevoli dividendi ai suoi principali azionisti: Cdp e il Tesoro. Eppure le cose non stanno così. All’Eni non si perdona il fatto di essere stata capace di aver compiuto una riconversione senza perdere un euro, anzi facendo buoni affari.
L’ostilità del Fatto Quotidiano
Qualcuno, però storce la bocca. Il Fatto Quotidiano si indigna perché “Eni potrà ricevere sussidi pubblici per progetti di cattura e stoccaggio fuori dall’Italia, ricevendo un trattamento di riguardo, dopo l’articolo 127 della legge di Bilancio che prevede un Fondo per la transizione industriale da 150 milioni”. Si tratta di soldi che andrebbero a società investono in progetti di “cattura, sequestro e riutilizzo della CO2”. Proprio come quello che Eni vuole realizzare a Ravenna.
Il quotidiano diretto da Marco Travaglio denuncia un trattamento di favore nei confronti della società di San Donato Milanese. Il suddetto giornale dimentica però l’impegno dell’Eni nell’eolico e nelle bonifiche industriali. Non solo, bisogna ricordare che la cattura dell’anidride carbonica è considerata fondamentale per la decarbonizzazione dell’energia anche da parte di organizzazioni internazionali come, tra le altre, la Oil and Gas Climate Initiative (OGCI), la International Energy Agency (IEA), la Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) ed il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC). Possiamo dunque annoverare Travaglio e i suoi tra i peggiori nemici dell’Italia. Speriamo solo che qualche amico togato de Il Fatto non gli dia l’agognato supporto.
Salvatore Recupero
1 commento
Che brutto destino quello della CO2.
Gas innocuo, che senza nuocere a nessun, viene ferocemente accusato, perseguitato ed infine catturato, cioè privato di librare alla luce del sole.