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Agricoltura italiana e Bruxelles: le trappole degli eurocrati

by Salvatore Recupero
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pac1[1]Roma, 15 giu – Oggi scatta l’ora X per gli agricoltori italiani. Bruxelles ha stabilito nel 15 giugno il termine ultimo per presentare le domande per ricevere  i “premi comunitari”. In realtà, le pratiche che oggi verranno presentate conterranno solo le informazioni minime. Poi, entro il 10 luglio verranno perfezionate attraverso una domanda di modifica, senza penalizzazioni per gli addetti al settore. Per ora, dunque, per accedere al sistema basterà dichiarare che si attuerà il greening (i vincoli ambientali) ma senza dettagli sulle colture. I premi o sussidi sono il prezzo che l’Ue paga agli agricoltori per rispettare determinati criteri di produzione. Per usare la lingua dei Padri: Do ut des.

Per comprendere quanto si è detto, conviene, dunque, entrare più nel dettaglio. Intanto, partiamo dai concetti base. La Pac (Politica Agricola Comunitaria) consiste in una serie di norme che regolano la produzione, lo scambio e la lavorazione dei prodotti agricoli.

Quest’accordo prese avvio negli anni 1960 come un mezzo per garantire agli agricoltori europei prezzi sufficientemente elevati e stabili. A tal fine vennero adoperati strumenti quali i sussidi alla produzione e l’acquisto delle eccedenze per sostenere i prezzi.

Con il passare degli anni tale patto rischiava di essere controproducente. L’Unione Europea, infatti, passò nel contempo da importatrice di beni alimentari a esportatrice alimentari.

Questo cambiamento rese estremamente costoso il sostegno ai prezzi agricoli attuato attraverso l’acquisto di massicce quantità in eccesso di beni alimentari (tali operazioni assorbivano più dell’80% del bilancio europeo negli anni 1970). Gli stringenti vincoli di bilancio e le pressioni da parte dei partner commerciali europei, danneggiati dalle vendite a basso prezzo sul mercato mondiale delle eccedenze agricole dei Paesi dell’Unione, portarono negli anni 1990 a un’importante riforma della PAC, denominata Riforma MacSharry, dal nome del commissario agricolo europeo responsabile.

Nel 1992 vi fu un deciso taglio ai prezzi dei prodotti agricoli europei, avvicinando questi ultimi ai livelli del mercato mondiale. Per rendere questi tagli dei prezzi politicamente accettabili agli agricoltori, la UE cominciò a effettuare pagamenti diretti agli agricoltori, chiamati ‘pagamenti compensativi’, perché erano visti come una compensazione per i tagli dei prezzi dei beni alimentari.

Ecco dunque la genesi di questi premi compensativi. In pratica, gli agricoltori venivano invitati spintaneamente a produrre il meno possibile per tenere alto il prezzo dei beni alimentari. Ma, Madre Natura non risponde ai vincoli comunitari. Quindi, il risultato è stato che gli agricoltori mandavano al macero frutta e verdura pur di far lievitare i costi.

Praticamente, uno schiaffo alla miseria. Ma, per comprendere come questo tema coinvolge ogni cittadino è bene fare un’altra precisazione.

Il vero punto dolente, infatti, è la differenza tra il costo della frutta sui banchi del mercato e il reale guadagno del contadino.

Secondo uno studio di Coldiretti: “Per ogni euro speso dagli italiani per l’acquisto di alimenti, oltre la metà (il 60%) va alla distribuzione commerciale, il 23% all’industria di trasformazione e solo il 17% a remunerare il prodotto agricolo”. Quindi, il prezzo di un prodotto aumenta più di cinque volte dal campo alla tavola, per colpa delle distorsioni e delle speculazioni lungo la filiera. Secondo Coldiretti: “I nuovi poteri forti della filiera agroalimentare, come la grande distribuzione commerciale sfruttano il loro potere di mercato nei confronti degli agricoltori, che in molti casi non riescono a coprire i costi di produzione. È quindi necessario un intervento nei confronti di un comportamento commerciale lesivo della concorrenza.

Non servono le elemosine di Bruxelles, se il Governo è totalmente assente. Nessuno a Palazzo Chigi pensa di correggere tali asimmetrie. Tutti difendono il Made in Italy e la dieta mediterranea. Ma, nessuno si impegna per rendere accessibile le nostre eccellenze alimentari al consumatore. Tirando le somme, queste politiche danneggiano produttori e consumatori. Infatti, se è vero che l’uomo è ciò che mangia, come diceva Ludwig Feuerbach, siamo messi piuttosto male.

Salvatore Recupero

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