Roma, 13 feb – Il settore dell’acciaio è, per sua natura, struttura, dimensioni e riflessi a cascata, forse fra i più importanti a livello di politica industriale. Una strategicità, quella della siderurgia, che ha sempre trovato posto nelle agende dei governi, impegnati chi in un modo e chi nell’altro a dotarsi di un’industria nazionale capace di soddisfare le proprie esigenze. Una trama, quella degli investimenti negli impianti per la produzione di acciaio e ghisa, che segue tutti i percorsi di sviluppo delle nazioni. Non fa (faceva?) eccezione l’Europa, attualmente alle prese con una crisi strutturale da sé stessa generata ma che cerca in qualche modo di tutelare le proprie produzioni siderurgiche.
La Commissione Europa ha infatti deciso di avviare investigazioni in merito all’acciaio importato dalla Cina, sul quale si sospetta che Pechino attui pratiche commerciali non consone. L’uovo di colombo: che la siderurgia cinese sia sussidiata dallo Stato con l’obiettivo di produrre, anche in perdita, pur di mettere fuori gioco i concorrenti stranieri, è cosa nota, notissima. Curioso che da Bruxelles, dove l’aderenza alla norme comunitarie sulla concorrenza è un mantra quasi a livello di disturbo ossessivo-compulsivo, abbiano agito non autonomamente ma su impulso di alcuni stati. Fra questi anche l’Italia, dove la crisi dell’acciaio europeo trova sublimazione nel caso Ilva: proprio il siderurgico sotto indagine da parte della stessa Commissione per “aiuti di Stato” (sì, sempre loro) a seguito dell’intervento pubblico che ha evitato il tracollo dello stabilimento impegnato in una massiccia e miliardaria opera di bonifica ambientale. L’indagine riguarda i tubi non saldati, le lamiere pesanti e i laminati a caldo. Allo stesso tempo però, sono stati imposti dazi che oscillano fra il 13.8% e il 16% sui laminati a freddo, che seguono imposizioni (fra il 9.2 e il 13%) sui tondini per cemento armato. Si tratta comunque di dazi provvisori, sulla cui eventuale conferma bisognerà aspettare. Nella speranza che, nel frattempo, magari su pressione della Germania, alla Cina non sia accordato lo status di economia di mercato, cosa che renderebbe vane tutte le possibilità di difesa dalla sua concorrenza sleale.
Se da un lato l’Europa cerca, pur goffamente e in palese ritardo, di proteggere i propri confini commerciali, dall’altro rischiamo di perdere alcuni dazi anch’essi vitali per le nostre imprese. “Proprio mentre è in atto un acceso dibattito sulla concessione dello status di economia di mercato alla Cina, si rischia di perdere i dazi antidumping applicati alle importazioni cinesi in settori chiave legati alla siderurgia. E’ una notizia che desta forte preoccupazione e che costituirebbe un colpo fatale per la manifattura europea già invasa dalla sovracapacità produttiva cinese”, spiega Licia Mattioli, di Confindustria. La presidente del Comitato tecnico per l’internazionalizzazione si riferisce alle misure antidumping a carico di viti, bulloni e altra minuteria che rischiano di essere annullati per un errore burocratico. “Siamo amareggiati – accusa la Mattioli – per una vicenda che dimostra l’inadeguatezza dell’Europa a gestire materie che sono vitali per l’industria, la crescita e l’occupazione. A causa di errori procedurali della Commissione le imprese italiane rischiano di trovarsi improvvisamente senza la protezione dei dazi in un settore in cui siamo secondi solo alla Germania e che in Europa conta un fatturato di circa 2 miliardi di euro, 230 aziende, 7.500 addetti, di cui 4.500 in Italia, e una filiera che arriva a oltre 23.000 unità”.
Filippo Burla