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"Tagliagole": quando la jihad diventa un brand vincente

by Adriano Scianca
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OccidenteRoma, 15 lug – “La Siria non è per i siriani e l’Iraq non è per gli iracheni. Questa terra è per i musulmani, tutti i musulmani”. Se non fosse per quella piccola pregiudiziale religiosa, potrebbe essere un discorso della Boldrini. O di Hollande. O di Obama. Peccato si tratti invece di Abu Bakr al-Baghdadi, il califfo del terrore, il capo dello Stato islamico, il nemico numero uno dell’Occidente.
Un Occidente la cui logica rimbalza però curiosamente nei discorsi degli incappucciati tagliatori di teste, sia pur mediata attraverso la griglia interpretativa dell’estremismo salafita.
L’internazionalismo degli jihadisti ne è per l’appunto un esempio: il califfo esorta tutti i fedeli (ma essendo l’islam una religione a vocazione universalista e conquistatrice, a lungo andare tutti gli uomini saranno “fedeli”, nella loro ottica) a migrare nel nuovo Stato, lasciandosi alle spalle i peccati delle società corrotte e andando in un mondo nuovo in cui vige solo la legge di Dio e non esiste più iracheno o siriano, marocchino o tunisino, ceceno o turkmeno, italiano o francese. Rileggetevi i discorsi dei padri pellegrini americani: la logica è esattamente la stessa. E in entrambi i casi, se gli autoctoni, i residenti delle terre scelte per questo esperimento messianico, non capiscono la fortuna che gli è capitata addosso, li si vota allo sterminio.
Isis e Occidente gemelli separati alla nascita? La tesi non è nuova, ma a ribadirla con argomenti persuasivi etagliagole originali è il nuovo saggio di Francesco Borgonovo, Tagliagole. Jihad Corporation (Bompiani, € 15,00, pp. 671).
Giornalista di Libero e autore televisivo, Borgonovo lo dice chiaramente: “Lo Stato islamico è uno specchio oscuro dell’Occidente”. Ma se l’aspetto propriamente mercantile dello Stato islamico, da vera e propria holding del terrore, è ampiamente sondato dagli analisti, le parti più interessanti di Tagliagole sono quelle in cui si prova a leggere l’Isis con una chiave pop.
Lo stesso al-Baghdadi, scrive l’autore, “potrebbe ricordare il personaggio di Bane, antagonista di Batman nel film Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno di Christopher Nolan. Un feroce capopopolo mascherato, che inneggia alla rivoluzione e scioglie come cani rabbiosi per le vie della metropoli Gotham City i suoi uomini, una banda variegata che appare come un miscuglio di jihadisti e black bloc […]. In realtà, proprio come Bane, sono quanto di più funzionale al sistema possa esistere. Non sono l’alternativa radicale: sono una versione ancora più spietata del sistema, il jihad-capitalismo”.
E ricordando il profilo anonimo, tranquillo, quasi un po’ sfigato del califfo prima che diventasse califfo, Borgonovo scrive: “In quel periodo ad al-Baghdadi succede qualcosa di simile a quel che accade a Walter White, protagonista della serie tv americana Breaking Bad”. Ovvero una trasformazione da professorino a genio del male.
Ci sono molte immagini di questo genere nel libro: come per esempio dove si dice che “il califfo è lo Steve Jobs dell’islamismo” o che al-Qaeda “è il Commodore 64 che le prova tutte per arginare l’inarrestabile ascesa del Mac”.
Persino Obama, nella prima fase dell’Isis, ha voluto ridimensionarne le pretese attingendo a categorie tipicamente yankee: “Isis è come la squadra di basket delle riserve di un college, mettersi la maglia dei Lakers non li trasforma in Kobe Bryant”. La sicumera, solo pochi mesi dopo, appariva già del tutto fuori luogo, ma gli elementi simbolici utilizzati sono emblematici.
manifestoE non a caso. Per quanto basi la sua forza sul più classico dei binomi, ovvero conquiste militari e introiti milionari – quindi su fattori decisamente “solidi”, tangibili – l’Isis vince la sua battaglia soprattutto sul piano dell’immaginario.
Da qui le sue strategie di marketing, le sue pubbliche relazioni che l’accomunano davvero più alla Apple che ad al-Qaeda e alle sue obsolete videocassette in bassa definizione dove vecchi barbuti parlano di guerra santa.
È la conquista delle menti e dei cuori che porta poi a quella degli Stati e che fa sì che una ragazza di 28 anni, nata a Torre del Greco, possa un giorno lasciare tutto per emigrare nella nuova terra promessa del califfo.
Scrive Borgonovo: “L’Is fa pubblicità. Ha uno straordinario ufficio comunicazione. Utilizza i social network, internet, è presente su tutti i media. I guerriglieri per proporsi al mondo utilizzano i mezzi di qualunque start up. Rimproverano agli americani la vigliaccheria sotto forma di drone killer, a cui loro opporrebbero la maschia lotta corpo a corpo col coltello. In verità, si limitano a massacrare civili inermi, si eccitano sacrificando vittime indifese. Poi montano il video come un reality di Real Time e spediscono il tutto a televisioni e siti web”.
Come possiamo vincere, contro gente così? Con le armi, certo, possibilmente non usandole contro gli unici che l’Isis lo combattono, ovvero i siriani. Ma anche e soprattutto ritrovando una narrazione vincente e convincente del nostro essere al mondo. Anche e soprattutto dandoci un’anima.
Adriano Scianca

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