Roma, 17 feb – A novanta anni dalla sua uscita, la prima edizione di Rivolta contro il Mondo Moderno di Julius Evola torna disponibile grazie alle Edizioni Mediterranee. Le edizioni romane hanno infatti pubblicato a fine anno scorso l’anastatica dell’edizione del 1934, completata da saggi introduttivi di Andrea Scarabelli e Giovanni Sessa.
Un mutamento profondo
Ci si chiederà che senso abbia ripubblicare la prima edizione, quando la terza e più nota del 1969 è ancora ampiamente disponibile. Le differenze sono minime e vengono già analizzate nell’appendice di Roberto Melchionda della versione ’69. Solo un completismo nerd e puramente filologico? Potrebbe sembrare così. Ma pur avendo letto l’appendice sulla differenza fra le tre edizioni (si parla anche di quella del 1951) è solo avendo sotto mano il testo originale del ’34 che si ha davvero consapevolezza dei cambiamenti stilistici ma anche contenutistici. I quali, ad un’analisi più profonda, risultano molto più importanti di semplici revisioni stilistiche.
Sorvoliamo sui capitoli presenti nella prima edizione e poi eliminati del tutto nella terza. Parliamo del capitolo “Lo Scettro e la Chiave”, cassato in seguito a scoperte storiche e archeologiche che ne avevano evidenziato assunzioni e conclusioni errate sul dio Giano, e dell’appendice “Sul Graal”, resa di fatto inutile dalla pubblicazione nel 1937 de Il Mistero del Graal. Riguardo alle modifiche più importanti del testo Melchionda, nella sua appendice, aveva parlato di “irruenza giovanile messa sotto controllo”. O di toni polemici e “impietosa ironia” che vengono stemperati. Ma anche di, cito da pagina 450, “amministrazione sempre meno prodiga di termini forti e pregnanti quali ‘divino’, ‘estranaturale’, ‘solare’, ‘esoterico’, ‘dominio’. Non è più necessario, ad esempio, ‘dominare in sé’ ma è sufficiente ‘avere in sé’”.
Siamo insomma di fronte semplicemente a un Evola più maturo, oculato e consapevole? Sicuramente trentacinque anni hanno contribuito a stemperare certi toni e trasformare, più che maturare, certe idee. Ma leggendo la prima edizione in prima persona ci si accorge che il mutamento è molto più profondo di quanto possa sembrare superficialmente.
La rivolta propositiva contro il mondo moderno
Certo, ci troviamo di fronte – nella prima edizione – a una maggiore enfasi. Ad esempio, dei concetti di super-umanità come stato direttamente raggiungibile attraverso una via diretta (vedi il capitolo “Solarità e spirito sacerdotale”, diventato “sulla virilità spirituale” nella terza edizione). Fatto che palesa una maggiore influenza del periodo “operativo” del Gruppo di Ur, terminato da appena cinque anni quando veniva data alle stampe la prima edizione. Un’esperienza certamente diluita e stemperata dopo circa quarant’anni. Ma c’è di più. E il modo migliore per accorgersene è senza dubbio leggere la Conclusione a pagina 465 della prima edizione, totalmente cassata nelle edizioni successive. E che quindi diventa il vero “gioiello” che rende necessaria questa anastatica.
Se la terza edizione ha più un senso di consapevolezza della “irreversibilità” del mondo moderno e la “rivolta” ha più un senso spirituale e individuale di ricerca nella Tradizione delle ancore per non farsi travolgere, la Rivolta del 1934 ha più un carattere attivo. Quasi propositivo. Già nella introduzione anonima, ma da molti ritenuta di Evola stesso, si parla di “libro decisamente reazionario”. Che però “non può non trovarsi sulla direzione stessa della Rivoluzione”. Ma è appunto nella Conclusione che troviamo slanci propositivi e attivi, molti dei quali preannunciano i temi del Cavalcare la Tigre pubblicato ventisette anni dopo. Se anche nel ’34 Evola credeva impensabile un ritorno tout court al mondo della Tradizione, egli tuttavia condannava il semplice “tirarsi indietro” in nome della conservazione e trasmissione dei principi eterni.
“Troppo lontane sono oramai per i più le terre abbandonate perché oggi il trarsi indietro abbia una base, manifesti la forza di un deposito vivo conservato nella tradizione, e non denoti invece la paura di coloro che non sapranno andar eroicamente e sacrificalmente oltre il punto della fine. Portar in fondo con purità di cuore e con luce i processi più distruttivi in moto nell’era moderna al fine di consumare ciò che appartiene a queste età agoniche – è invece la via per cui in qualcuno la vocazione eroica dell’anima occidentale potrebbe forse operare di nuovo in senso catartico e sopraumano, tanto da elevare alla capacità di guidare forze nuove o integrar quanto ancora, malgrado tutto, possa resistere”.
La condanna dell’inazione
Impossibile non leggere in queste parole (pagina 477 della prima edizione) una condanna ferma all’inazione tanto cara a molti tradizionalisti. Inerzia definita senza fronzoli paura dell’azione eroica e sacrificale. Ma procedendo oltre, Evola arriva a conclusioni che molti evoliani stessi condannerebbero come “sovversive” o anti tradizionali. Ad esempio quando (pagina 478), sostiene di “vedere fino a che punto in qualcuno o addirittura in una generazione di giovani, in virtù di un giusto orientamento eroico-sacrificale, il non-umano del mondo realistico e attivistico moderno, invece che via verso il sub-umano […] possa divenire via verso il sopra-umano, verso forme trascendenti della personalità spirituale, epperò possa riportare al libero respiro e alla grandezza di una nuova epoca «tradizionale»”.
Abbiamo assistito proprio negli ultimi cinque anni alla condanna aprioristica da parte di conservatori e reazionari, molti dei quali nascosti dietro le effigi evoliane, a ogni tipo di slancio eroico per vedere proprio nel non-umano una via verso il sopra-umano. Un concetto anch’esso spesso condannato aprioristicamente con troppa semplicità. Per non parlare della scomunica verso qualunque lettura pro-positiva della tecnica e della macchina. Quando proprio Evola (pagina 479) scriveva “alla religione di quell’infinito che parla al sentimento, alla fantasia e al desiderio si sostituisca di nuovo un bisogno di forma, di chiarezza e di certezza, sino al punto che l’ideale della tecnica quale azione determinante per rapporti esatti e necessari di antecedenti e conseguenti; della macchina quale creatura impersonalmente e matematicamente adeguata allo scopo […] sino al punto in cui tutto questo si presenti nel valore di un simbolo materiale per uno stile nuovo da realizzare nello spirito”.
“Rivolta contro il Mondo Moderno”, l’edizione originale
Troppo facile, a questo punto, sostenere la tesi dell’Evola ricondotto alla ragione con il passare degli anni, dell’Evola “maturo” contro quello “troppo irruento”. O, peggio, come fanno molti, parlare del “vero Evola” che è ovviamente quello che gli aggrada di più. E che va difeso da qualunque altra lettura che possa far concepire l’esistenza di un Evola “diverso”. La cristallizzazione del pensiero di un autore è probabilmente il modo peggiore per svilirlo. Troppo spesso invece ci si scorda di contestualizzare le evoluzioni e i mutamenti di un autore.
L’Evola della prima edizione veniva appunto dall’esperienza operativa di Ur. Seppur finita non nel migliore dei modi, era ancora molto influente in un periodo che bruciava ancora di rivoluzione e affermazione. L’Evola della seconda e terza edizione è un’Evola che aveva vissuto un vero e proprio Gotterdammerung con la fine e la sconfitta della Seconda Guerra Mondiale. E, pertanto, aveva perso lo slancio e la volontà affermativa e cercava di salvare il salvabile in un’era dove permeava un irriducibile senso di sconfitta. Nessuno dei due è quello “vero” come nessuno dei due è quello “inesatto”. Ma di certo il fatto che si concepisca come “vero” solamente quello uscito da una sconfitta dà il senso esistenziale, spirituale e umano di chi ha effettuato tale scelta.
Carlomanno Adinolfi