Roma, 20 mar – Confusione e oscurità regnano nei cieli della giustizia civile e penale, portate da due interventi riformatori ascritti all’ex ministro Guardasigilli. A colpi di decreti legislativi (i numeri 149 e 150, emanati il 10 ottobre 2022), negli ultimi giorni del governo Draghi, veniva introdotta nel nostro ordinamento una serie di norme volta a ridisegnare l’impianto dei Codici per volere espresso degli ‘gnomi’ di Bruxelles, i quali, nel nome e sotto il ricatto del PNRR estorcevano all’Italia modelli di efficienza aziendalistica applicati a Tribunali e Corti, in cui Chrónos («Tempo») fa le scarpe a Díke («Giustizia»). Un’altra tappa della incessante storia fatta di conflitti e di rovesci, di cui già ci occupammo.
Se la sommarietà diventa regola
La sommarietà è diventata regola di diritto e di giudizio, a discapito delle più basilari garanzie: il tempo scorre, misura tutto e scandisce i ritmi dei processi, decisi da sentenze improntate più a brevità istruttoria, che a giustizia. Ormai, a.C. e d.C., per chi di diritto si occupa e per chi della applicazione del diritto cartabico si preoccupa, non sono acronimi segnanti, nella periodizzazione degli eventi storici, il loro verificarsi prima o dopo la nascita di Cristo, ma significano “avanti Cartabia” e “dopo Cartabia”. E il tempo “dopo Cartabia” è assai cupo, specie per chi non ha fortune e mezzi per difendersi.
Quasi ogni norma delle Riforme è pietra d’inciampo per gli operatori del diritto, rammentando loro, passo dopo passo, che le scelte dissennate, irrazionali, stupide, non vengono compiute soltanto dai magistrati giudicanti, ma anche dal legislatore. E, data la fisionomia degli interventi riformatori, sorge il dubbio che i consiglieri del legislatore e del legislatore delegato non abbiano mai messo piede in un’aula di giustizia, nemmeno per sbaglio.
Riforma Giustizia, meglio far presto che bene
La Riforma Cartabia, specie quella interveniente sul procedimento penale, si rivela esiziale: meglio far presto, che bene. Alcuni esempi: aumentano i casi in cui l’appello è inammissibile (art. 581 c.p.p.); il rito ordinario d’appello, sulla scia del diritto emergenziale covidico, è cartolare, vale a dire per iscritto, mentre la trattazione in presenza diventa l’eccezione (art. 598-bis e ss.); generalmente, superati i due anni di durata del giudizio del secondo grado, ne va dichiarata l’improcedibilità (art. 344-bis c.p.p.); l’imputato condannato nel giudizio abbreviato, ove non appelli o non faccia appellare, ottiene lo sconto di pena di 1/6 (art. 442 c.p.p.); è implementato il ricorso alla giustizia riparativa, di matrice anglosassone, senza che gli Uffici interessati abbiano risorse e mezzi adeguati (artt. 42-67 D.Lgs. n. 150/2022).
Il trionfo della legisprudenza
È il trionfo della legisprudenza, concepita in laboratori ministeriali e accademici dai ‘tecnici’, approvata in modo supino e bovino dai parlamentari, introdotta dal governo Draghi e mai messa in discussione dal governo Meloni, incapace di approntare adeguati correttivi, ispirati dalla necessità di eseguire almeno minimi interventi di ortopedia normativa. Vengono recepite in modo totale e acritico le opzioni degli ‘esperti’, i quali, come novelli biologi, immettono nella società ciò che nemmeno in provetta dovrebbe essere fatto oggetto di sperimentazione. In tal senso, il governo Meloni mostra di essere appendice e protesi del governo Draghi, con buona pace del ministro Nordio, ammirabile negli intenti, ma concretamente poco incisivo.
Andrea Petito (A.S.G.A.R.)
1 commento
Anche in questo “settore” contano gli uomini…, vadano avanti i migliori con il coraggio sostenuto anche dal consenso che stavolta non dovrebbe mancare, necessitiamo di “apripista” esemplari. O la va o la spacca. Ma non lo specchio dove ci si guarda ogni gg.