Roma, 8 apr – La recente pubblicazione di un saggio di Marco Fraquelli (Altri duci. I fascismi europei tra le due guerre, Mursia, pp. 632, euro 26) ripropone il dibattito, con la forza dei documenti e di una riflessione aperta e sgombra di pregiudizi (Fraquelli, milanese, cinquantotto anni, discepolo del politologo Giorgio Galli, è un attento studioso della cultura della Destra radicale: tra i suoi libri ricordiamo Tradizione e reazione nell’opera di Julius Evola, Terziaria, 1994 e Omosessuali de destra, Rubbettino, 2007), intorno a un fenomeno che la storiografia ufficiale non ha mai ignorato, anche se non ha mai affrontato nella sua complessità: la dimensione europea del fenomeno fascista.
O, se si preferisce, la variegata, colorita ricchezza dei fascismi “incompiuti”, quelli che “non furono”, che non divennero istituzione, regime, stato e società, ma offrirono comunque testimonianze militanti di tutto rispetto. Con le loro bandiere, con i loro miti d’azione, con i loro capi carismatici. Ma prima di addentrarci in questa suggestiva geografia che resta, sì, “politicamente scorretta”, ma che offre alla ricostruzione storica e all’immaginario tali e tante occasioni di scavo che sarebbe impossibile trascurare senza far un torto all’intelligenza critica e allo spirito libero; prima di imbarcarci per l’avventura, ci siano consentite alcune osservazioni.
A partire dal profilo dei fascismi “che furono”: il fascismo propriamente detto, e cioè quello italiano di Benito Mussolini; il nazionalsocialismo di Adolf Hitler; il falangismo di Francisco Franco; il corporativismo cattolico e l’Estado Novo di Antonio de Oliveira Salazar.
Primo interrogativo (e nessuno ce ne voglia per la battuta): si può fare di tutta questa “erba” un “fascio”? Si può tirar fuori dai “fascismi” che arrivarono al potere una categoria “fascismo”? E’ decenni che se ne parla, sempre in termini problematici e spesso accesi, eppure i nodi ideologici e storici non si risolvono.
Ad esempio, è innegabile che il fascismo italiano nasce e muore “a sinistra” o, se si vuole, “al di là della destra e della sinistra”, da una potente sintesi di tutte le eresie del Novecento, dal sindacalismo rivoluzionario all’avanguardia futurista, dagli “incendiari” delle riviste fiorentine agli interventisti “trasversali” della Grande Guerra. Quanto al nazionalsocialismo, a parte la fiera identità razzista del “sangue” e del “suolo” che è lontanissima dalla visione del mondo “romana” e “universale” di Mussolini, e da tutti i miti e i riti della classicità che il Regime fece propri; a parte il fatto che per Mussolini l’antisemitismo è una scelta, diciamo così, “congiunturale”, a cui in fondo né lui né i fascisti, tranne rare eccezioni, credettero mai: a parte tutto questo, c’è da ragionare- e non si finisce mai di ragionare- sul “lontano” e sul “profondo” di quell’anima germanica che si entusiasmò per lo swastika.
Anche perché a battere non fu soltanto il cuore delle masse tedesche: il terreno su cui fiorì la croce uncinata fu abbondantemente concimato dagli intellettuali della “rivoluzione conservatrice”- il primo Mann, Jünger, Spengler, von Salomon, Schmitt, Heidegger, Benn ecc.- che, a vario titolo, “consentirono” col Führer e, quando ne dissentirono, lo fecero all’insegna di una “visione del mondo” che (a parte il caso del “convertito” Mann) mal si coniugava con i valori del liberalismo e della democrazia. Ebbene: che cosa fu il fascismo (il nazismo) e che cosa avrebbe dovuto essere per questi alfieri della cultura germanica?
Quanto a Franco, il suo regime, paternalista, autoritario e conservatore, è quanto di più lontano ci si può figurare rispetto al fascismo italiano, quanto meno rispetto alle idee che il fascismo “movimento” portò avanti nel corso del Ventennio, sempre vagheggiando quella “seconda ondata”, rivoluzionaria e anticapitalista, che sembrò prender corpo nella Repubblica Sociale e animò sempre il dibattito all’interno del neofascismo missino.
Per tornare a Franco, che cosa aveva a che fare la sua dittatura con le idee e i programmi della Falange, fondata da José Antonio de Rivera? E il cattolico di destra Salazar può essere assimilato a un fascista?
Tante, dunque, le domande, tanti gli elementi di confronto e i terreni di scontro “nel” Fascismo e “tra” i fascismi. Forse con un solo punto fermo: la comune vocazione a proporsi come “terza forza”. Una vera e propria sfida “epocale”, che fecondasse il socialismo con l’elemento nazionale e il nazionalismo con l’elemento sociale. Ed è quello che in fondo, traspare dalla “dottrina del Fascismo” nella sua formulazione gentiliana e mussoliniana. Sì, ma tutto questo può farci superare le “differenze”? E può farci elaborare una categoria “Fascismo” che, tenendo conto anche dei fascismi incompiuti, militanti ma non trionfanti, abbia un profilo “europeo”?
Forse Altri duci non dà, non può dare una compiuta risposta a questa domanda. Ma di sicuro contribuisce ad aprir gli occhi a tutti coloro (e non sono pochi) che si accontentano di una lezioncina ovvia e scontata sui fascismi europei o li sottovalutano come micro-curiosità o addirittura li ignorano. E aprire gli occhi significa prendere atto di una “ricchezza”, per quanto si voglia problematica o inquietante.
Bene, diciamo subito che a tracciare il solco in questo campo, tanto vasto quanto poco coltivato, fu lo scrittore francese Maurice Bardèche con I fascismi sconosciuti (Edizione del Borghese, 1969).
Bardèche, cognato del poeta Robert Brasillach, fucilato per collaborazionismo nel febbraio del 1945, era dichiaratamente fascista.
Molto aperto, comunque, il che significa alieno da ogni ottusità fanatica e sempre desideroso di capire. A costo di far vibrare le “anime belle”. Tanto è vero che nel 1965 aveva pubblicato con Volpe un saggio Che cos’è il fascismo?, a suo modo scandaloso. Visto che l’Autore- decisamente antioccidentale e antiyankee, e pieno di simpatia sia nei confronti di un’America Latina schiacciata dal tallone statunitense sia in quelli di un mondo arabo che rialzava la testa- si poneva domande a proposito della configurazione “fascista” dell’Egitto di Nasser e-udite!udite!- della rivoluzione cubana di Fidel Castro.
Roba da far venire il mal di stomaco a tutti i destri clerico-conservatori, anticomunisti viscerali, nostalgici dell’imperialismo coloniale, atlantisti e con le mutande a stelle e strisce!
Bardèche sta dalla parte della “terza forza” anticapitalista, anticomunista ed euromediterranea. E il suo libro sui fascismi che “non furono” ma agitarono, e parecchio, le realtà sociali e politiche entro cui si mossero, ce ne offre una chiara dimostrazione. Facendoci “scoprire” Codreanu e la Guardia di Ferro, la Croci Frecciate in Ungheria, i fascismi baltici (lettone, estone, lituano, finlandese), il fascismo norvegese. E nuovamente ponendo la domanda: esiste un fascismo arabo? Che cos’è? E può essere “interessante” per un’Europa che non accetti la logica di Yalta?
Bardèche, l’abbiamo detto, tracciò il solco, e al suo seguito vennero diversi storici militanti, ben intenzionati a scavare nel cuore fascio-europeo tra le due guerre. Uno su tutti: Carlo Sburlati, attuale straordinario organizzatore e animatore del Premio Acqui Storia, che nel ’70 per i tipi di Volpe pubblicò Codreanu il Capitano. Un saggio che sfoderava nomi, date, dati e documenti: ma che era anche a forte tasso evocativo. Nel bene e nel male, il rumeno Codreanu aveva dalla sua un’indubbia capacità fascinatrice: e negli ambienti della giovane destra neofascista prosperò per anni il mito della Guardia di Ferro.
Un mito contagioso: i fascismi sconosciuti “intrigavano”. Se ne accorse Pier Maria Paoletti, il direttore della mondadoriana Storia Illustrata, persona perbene, liberale puro e giornalista di razza, che mi ripeteva sempre: “Se i fascismi non ci fossero stati andrebbero inventati. Con una copertina con la faccia di Mussolini, o condita con fasci, swastike e titoloni “in camicia nera”, raddoppiamo sempre le vendite”. E fu così che, negli anni ’80, il Direttore rispose con un entusiastico “sì”, quando gli proposi una serie di pezzi dedicati a un argomento tanto scottante quanto “eccitante” come i “fascismi sconosciuti” di Codreanu, di Mosley, di Degrelle, di José Antonio ecc.. Avrei concluso il tutto con un’intervista sul nazismo a Massimo Cacciari che era, allora, deputato del PCI, ma talmente interessato alla fenomenologia politica e culturale di fascismo, fascismi e destra radicale, da esser guardato con qualche sospetto dai “compagni”, e non solo da quelli più trinariciuti.
Adesso il libro di Fraquelli- con i suoi percorsi nei territori dove già si era avventurato Bardèche, ma anche in Grecia, in Islanda, in Portogallo, in Slovacchia, in Croazia, in Irlanda ecc. e con il suo impegno a trovare dei tratti unificanti: il leader carismatico, l’identità, la tradizione, la milizia guerriera, il rifiuto della democrazia e del comunismo, il copioso “immaginario”- aggiunge elementi ed alimenti ad un confronto che dovrebbe/potrebbe essere sereno se ci fosse (c’è? ci sarà?) per l’appunto, una comune voglia di scoprire e di capire. Al di là di questo o quel “vissuto”, al di là, per dirla con Cardini, di questo o di quell’altro “antenato”, scelto perché lo sentiamo più vicino a noi (per Bardèche, che ci scrisse sopra un libro, anch’esso pubblicato dal Borghese, tra gli “eletti” c’erano gli spartani e i sudisti).
Scoprire, capire. La fascinazione suscitata (un nuovo gioco di parole, chiediamo venia) dai fasci in azione. Dappertutto. Noi crediamo che vada spiegata, non demonizzata. Anche perché “dentro” non ci sono solo popoli ammaliati da miti e riti di massa ma fior di intellettuali variamente partecipi o simpatizzanti. L’elenchino è stato fatto tante volte che evitiamo di riproporlo: se ci limitiamo a dire che c’è il Gotha della cultura novecentesca, prendeteci in parola.
Mario Bernardi Guardi
(articolo originariamente uscito su Il Borghese)
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