Bolzano, 4 gen – Da poco concluso il centenario dell’Impresa di Fiume, ciò che rimane dei vari discorsi pronunciati con la erre moscia nelle vulgate televisive e sulla stampa sinistrorsa, purtroppo è un’idea popolare che oggi paragona il Vate a Jim Morrison, e i suoi legionari ad hippies erotomani in cerca di mere avventure prive di ogni reale senso politico.
Giulietti e la Federazione della gente del mare
Studiando l’impresa fiumana però, oltre a taluni omuncoli del governo italiano protagonisti unicamente di viltà e nefandezze per boicottarla e, oltre a giganti arci-noti come D’Annunzio, si scoprono uomini ed eroi dal grandissimo spessore e che, partendo dall’esperienza di Fiume, continueranno a scrivere nel bene e nel male la storia d’Italia. Tra questi vi è certamente il carismatico Capitano Giuseppe Giulietti, classe 1879, che, tra posizioni politiche ondeggianti tra l’estrema destra e l’estrema sinistra, dal 1909 era presidente della Federazione della Gente del Mare; organizzazione sindacale e interventista che otteneva e rivendicava i diritti di marinai e pescatori, in aperta opposizione al governo liberale di Nitti e alle sue false promesse ai Lavoratori del Mare.
L’impresa sul piroscafo Persia
La Federazione della Gente del Mare minacciò lo sciopero generale della categoria quando, ancora una volta, nel settembre del 1919 venne a conoscenza che, nel porto di La Spezia, il piroscafo Persia di Lloyd Adriatico stava caricando per conto del governo diverse tonnellate di armi e munizioni destinate a Vladivostok, in sostegno alle truppe zariste in Russia in lotta contro l’Armata Rossa, all’epoca ancora abbaglio di libertà e riscossa per la classe operaia internazionale. Il pavido Nitti corse subito ai ripari asserendo che non si trattava di armi ma bensì di vecchie casseruole e ferraglia.
Se il Parlamento gli credette, forse più per noia che altro, il Capitano dei Lavoratori del Mare non si diede invece per vinto e provò ad imbarcare quattro suoi uomini sul piroscafo attraccato nel porto ligure. Solo il timoniere Guido Remedi però, riuscì a salpare con il Persia, mentre il tenente di vascello della Marina Militare Antonio Sulfaro, l’ufficiale marconista Vincenzo Tatozzi e il sindacalista Umberto Poggi, dovettero raggiungere l’imbarcazione su rotaia fino alla tappa di Messina. Nel porto siciliano i tre uomini di Giulietti riuscirono a salire a bordo aiutati dal Remedi e dal buio della notte.
Presa e dirottamento del Persia
Sul piroscafo, la squadra dedita alla missione messa a punto dalla Federazione, unì a sé altri aderenti tra macchinisti e camerieri già iscritti al sindacato che, una volta ripreso il largo, uscirono allo scoperto armi in pugno sequestrando la nave e modificandone la rotta verso Fiume. Alla vista dei “pirati” italiani armati di pale, coltelli e armi da fuoco, i passeggeri civili scapparono spaventati in coperta e l’ufficiale di artiglieria addetto alla scorta del carico finì anch’esso disarmato e sequestrato.
Il carico del piroscafo
A quel punto fu chiarissimo ai sindacalisti rivoluzionari che, come volevasi dimostrare precedentemente, il carico del Persia non era composto dell’innocente ferraglia proclamata da Nitti, ma bensì da 30mila fucili modello ’91, mille moschetti da cavalleria, dieci batterie di artiglieria da montagna 75/13, una gigantesca quantità di munizioni e scorte alimentari militari per almeno trentamila uomini che la Società Italorussa per il Mar Nero aveva acquisito dallo Stato con un finanziamento di 20 milioni di lire in oro della Banca Commerciale Italiana.
L’arrivo a Fiume
Inseguito nell’Adriatico dalle navi della Marina italiana e da quelle delle marine militari alleate, il 15 ottobre del 1919 il Persia riuscì finalmente a raggiungere la bella Fiume occupata dai legionari ma, a poche miglia dalla città dalmata, un cacciatorpediniere britannico si frappose tra il piroscafo e il porto. La temerarietà di Sulfaro ordinò allora l’avanti tutta in rotta di collisione contro la nave da guerra inglese che, fortunatamente, all’ultimo si scansò permettendo di entrare nel porto fiumano il Persia battente bandiera tricolore affiancata dal drappo della Federazione della Gente del Mare.
D’Annunzio ringrazia Giulietti
Di quel giorno così glorioso per i ribelli Gabriele D’Annunzio scrisse: “…La bandiera dei Lavoratori del Mare issata all’albero di maestra, quando la nave Persia stava per entrare nel porto di Fiume col suo carico sospetto, confermò non soltanto la santità, ma l’universalità della nostra causa. La Federazione, dopo averci arditamente mostrato il suo consenso e dato il suo aiuto, ci fornisce armi per la giustizia, armi per la libertà, togliendole a reazioni oscure contro un’altro popolo, non confessate. Teniamo le armi e teniamo la nave (…) Ringrazio te (Giulietti) che all’improvviso ci hai portato il tuo ardore allegro, il tuo vigore costruttivo, la tua fede guerreggiante…”.
Se armi e munizioni vennero trattenute dai legionari, il piroscafo venne invece riconsegnato a Lloyd dopo che Nitti e Schanzer, ministro delle Finanze, ebbero rigarantito a questi il generoso contributo alla cassa Pensioni del quale godevano durante la Grande Guerra per la loro attiva posizione interventista. Contributo che fu negato proprio da Nitti al momento dell’adesione fiumana della Federazione della Gente del Mare.
Anche Lenin si complimenta con Giulietti
Oltre che per la politica e la stampa nazionale e balcanica, l’avventura del “Persia fiumano” ebbe grande risalto anche all’estero, soprattutto nella neonata Repubblica Socialista Sovietica di Lenin che si dimostrò grato a D’Annunzio e Giulietti tessendone le lodi rivoluzionarie a discapito dei fallimenti dei socialisti italiani di Serrati. Come poi disse anche per Mussolini, parrebbe che anche in questa occasione Lenin pronunciò l’indigeribile frase per Gramsci: “In Italia un solo uomo è capace di fare la rivoluzione: questi è D’Annunzio”.
Parole tutt’oggi indigeribili per una sinistra italiana perennemente impegnata nella censura e nella manipolazione della storia. Per una sinistra che, in questo centenario fiumano appena trascorso, ha cercato e cerca di ridurre in ogni modo l’Impresa di Fiume ad un teatrale sfogo nazionalista fine a sé stesso e condito di un’improbabile spirito sessantottino. No signori, Fiume è stata molto più e lo ha confermato in ogni sua singola avventura; con i suoi legionari capaci di condurre più rivoluzioni sociali ed eroiche in un anno, che non la sinistra italiana in un secolo di voltagabbana, degrado culturale e accordi sottobanco.
Andrea Bonazza