Roma, 14 mar – “La paura del Lupo voi l’avete nel sangue”. Con questa semplice constatazione, il saggio nomade mongolo Bileg spiega al giovane commissario politico cinese protagonista de Il Totem del Lupo – il best seller da cui Jean Jacques Annaud ha tratto il film L’Ultimo Lupo – l’odio atavico che il popolo che abita le pianure della Cina prova non tanto per il feroce animale in sé ma per quello che rappresenta, per ciò di cui il Lupo figlio del Tengger, il dio del cielo mongolo, è totem. È un odio millenario che i popoli agricoltori, adoratori della terra e per i quali la sopravvivenza dell’essere umano è la cosa più importante, provano per i popoli cacciatori e guerrieri, disprezzatori della tranquillità, adoratori degli Dèi del cielo e osservatori dei cicli cosmici più che di quelli terrestri, di quelli che lo stesso Bileg indica come Grande Vita in contrapposizione con la Piccola Vita a cui badano gli agricoltori.
Questo odio isterico portò poi il governo comunista cinese a dare l’ordine di sterminare i lupi, adulti e cuccioli, un provvedimento che portò quasi all’estinzione del totem mongolo ma che soprattutto mise a repentaglio la vita dell’intera steppa e della stessa Grande Vita regolata dal Tengger. Questo stesso odio irrazionale, isterico e atavico sembra ora colpire alcune frange del governo e dei media italiani. In poche settimane abbiamo assistito alla folle proposta del governo Renzi e in particolare ministro dell’Ambiente Galletti di legalizzare l’abbattimento dei lupi nell’Appennino, proposta appoggiata anche dal governo di molte regioni tra cui l’Abruzzo, e all’allucinante servizio de Le Iene, già sbugiardato online, che ha presentato il ritorno del lupo negli Appennini emiliani come una sorta di invasione di belve assetate di sangue pronte a cibarsi di carne umana. Ma in questo caso è difficile vedere un odio delle popolazioni agricole verso quelle dei cacciatori. Questo sembra un odio ancora più atavico, ancora più ancestrale. È un odio infero. Qui non si vuole attaccare il totem delle popolazioni dei cacciatori in quanto tali. Qui si vuole estirpare alla radice il senso più profondo di quel sacrum che contraddistingue questa particolare civiltà nata dal sangue di popoli cacciatori. La civiltà europea.
Un sacrum che lega ai nostri numi e di cui proprio il Lupo è uno dei simboli più importanti. Il Lupo viene odiato perché è selvaggio, indomabile, non addomesticabile. Perché è il nemico ancestrale della pecora, del gregge, della massa. Ma la sua indomabilità e la sua ferinità sono rese ancora più pericolose dal fatto che nel lupo non si manifestano in un essere caotico e individualista. Il Lupo anche da solo è un animale pericoloso e che fa paura. Ma la sua vera forza deriva dal branco. Nel branco ogni individuo è leale alla comunità – Konrad Lorenz spiega magistralmente come la lealtà sia una caratteristica cardinale del lupo e non dello sciacallo o, guarda caso, delle iene – ed è pronto anche a morire se il suo sacrificio può portare alla vittoria o al benessere di tutti. Il branco di lupi “si muove insieme, come un unico corpo, in una struttura in cui ogni elemento sa qual è il suo compito e in cui ognuno si identifica con la ferrea volontà del Capo” (le parole sono sempre del saggio Bileg).
Il Lupo è l’esempio più naturale della gerarchia. Il Lupo è odiato perché è insieme esempio e simbolo della natura più profonda delle società guerriere indoarie. È il furor bellis. Un furore pericoloso, che può anche divorare e annientare chi non sa controllarlo, come in Sköll e Hati che nel Ragnarök divorano il Sole e la Luna o ancor più come in Fenrir, il lupo infero figlio di Loki che nella battaglia finale divora addirittura Odino. Ma un furore che può anche portare alla sublimazione, alla Vittoria che preannuncia i regni celesti. Lo stesso Odino, il dio del furore e della caccia selvaggia oltre che della vittoria in battaglia, è accompagnato da due lupi, Geri e Freki. Dei lupi accompagnano le Valkirie che scelgono le anime degli eroi caduti in battaglia per condurli nel Valhalla. E nel Valhalla la pelle di un lupo funge da porta nella Grande Sala dove gli eroi banchettano, al centro del regno di Asgard. Quell’Asgard il cui nome così misteriosamente ricorda Agarthi, la terra inaccessibile delle tradizioni mongole – in cui il Lupo guarda caso è il totem popolare – nella quale il Re del Mondo tiene le redini della legge cosmica.
Questo legame tra il Lupo e le terre primordiali e cardinali è comune a molte tradizioni. Il Lupo accompagnava Apollo Licio – lykios da lykos, lupo – signore della Luce e delle terre iperboree. E lo stesso Apollo era figlio di Latona, che dalle terre iperboree si era recata a Delo per partorire il figlio solare, proprio sotto forma di lupa. E lo stesso termine greco lykos potrebbe anche nascondere una radice che riporta a “luce”. Furor bellis, gerarchia, etica guerriera, sole iperboreo. Tutte caratteristiche che da sole basterebbero a spiegare l’odio di una certa categoria “umana” verso questo animale. Ed è ovvio che questo odio si palesi ancora di più in Italia. Perché qui proprio nel Lupo tutte queste caratteristiche erano condensate e sintetizzate insieme. Perché il Lupo è Roma.
Il Lupo è l’animale sacro a Marte, il padre divino dei Gemelli e quindi di Romolo fondatore e primo Re dell’Urbe. Il Marte che evoca il furor bellis ma che ne è padrone, che lo mette al proprio servizio nella ferrea ma inarrestabile disciplina marziale – appunto – della Legione in cui ognuno è al proprio posto, in cui ognuno è fedele al suo compagno, in cui ognuno con il proprio scudo protegge se stesso, il proprio vicino e tutto il popolo. E tutta la Legione si muove come un solo uomo e identificandosi con la volontà dell’Imperator che conduce in battaglia. Proprio come un branco di lupi. Marte attraverso cui il furor bellis disciplinato porta alla Vittoria, alla Luce Immortale, a quella Realizzazione di Sé che è il cardine di tutta la spiritualità indoaria. Roma, Marte, il Lupo sono il senso stesso dell’assialità e della verticalità che si reggono sullo spirito guerriero e marziale. Che per forza di cose sono odiate visceralmente dagli araldi del deserto, dell’orizzontalità piatta e amorfa, della massa. Ma tutto questo sarà davvero chiaro ai vari Renzi, ai vari Galletti o ai montatori dei servizi delle Iene? Non importa. Che questa dichiarazione di guerra al totem del nostro ancestrale spirito guerriero sia conscia o subconscia è del tutto indifferente. Quello che è certo è che la paura del Lupo, loro ce l’hanno nel sangue.
Carlomanno Adinolfi
1 commento
Da cacciatore quale sono – non un cacciatore qualunque, sia chiaro, ma un devoto di Ullr – condivido i concenti espressi in questo articolo. Non ucciderei mai un lupo, perché nel lupo mi specchio.