“Io amo la grammatica, piuttosto che la cucina vegana, piuttosto che andare in monopattino, piuttosto che…”. E via elencando. Una frase con una bugia di fondo grossa come una casa: chi parla così non ama la grammatica. Per niente. Infatti l’espressione “piuttosto che” non è sinonimo di “oppure”. Non si può utilizzare negli elenchi, perché significa “invece di”. E invece si sa, chi ama la cucina vegana, presumibilmente ama il monopattino, il frisbee, il pesce in scatola (non il tonno, ma quell* più lungh* e fin* che stanno nel Pd).
Parla l’Accademia della Crusca: “Piuttosto che” non significa “oppure”
E’ di oggi la notizia che l’Accademia della Crusca ribadisce sul suo sito web – in perfetto stile cruscante – usare “piuttosto che” con valore disgiuntivo, cioè nel senso di “oppure”, introduce “un’ambiguità, e quindi in un certo senso aumenta l’entropia della grammatica italiana per usare un termine della fisica”. A dirlo, nella fattispecie, è Marco Biffi, docente di Linguistica italiana all’Università di Firenze e responsabile web dell’Accademia della Crusca. L’occasione è il lancio della nuova canzone didattica, dal titolo appunto Piuttosto che, di Lorenzo Baglioni, che non è parente di Claudio ma è un cantante, attore e professore di matematica. Dopo Il congiuntivo e L’apostrofo, il Baglioni toscano (da non confondersi con quello romano, ben più celebre ma di certo meno didattico) sforna una nuova canzoncina, che qui sta per canzone-lezioncina.
La canzoncina che fa bene all’Italiano
“Messaggini, whatsappini/Scritti peggio dei bambini/Le faccine, i sorrisini/Ma l’apostrofo è un miracolo se lo indovini…“, cantava con immensa ragione. Nel nuovo pezzo (feat. Il pedante), ora canta: “‘Piuttosto che’ è una locuzione congiuntiva/Prima di un’avversativa o comparativa/Ma c’era tanta gente che lo utilizzava/ Con accezione disgiuntiva e non se ne curava/Ma quest’uso è fortemente deprecato/Oltre che semanticamente deviato/Ecco l’errore che facciamo nel parlato: “Amo, potremmo andare in centro, piuttosto che al cine, piuttosto che al mercato”. Musica per le nostre orecchie, noi che per gli anglofoni saremmo tutti grammar nazi. Ma il punto purtroppo è che non siamo severi noi, con la grammatica, ma sciattissimi un sacco di italiani.
Un abominio che si ripete da anni
E la nostra sublime lingua è bistrattata ormai da tanti, troppi anni. Come dimenticare l’età oscura dell’attimino? Persino al telefono con i pezzi grossi ti capitava di sentire “un attimino e sono da lei”. Per non parlare della sua versione ancora peggiore: secondino. Ad ogni ascolto balenava nella mente l’ergastolo ostativo per crimini contro l’Italiano. Maiuscola, come la materia. Ebbene, questa nostra rubrica sberleffa senza pietà e pudore la gente dell’internet, dei vocali infiniti che poi finiscono in “aspetta che ora ti chiamo e ti dico meglio”. A maggior ragione quindi sfotte la gente del “piuttosto che” usato ad mentula canis (nell’idioma corrente: a cazzo di cane). Pertanto Tutti ne parlano (a sproposito) soltanto per oggi è rinnovellata in Tutti lo dicono (a sproposito).
Galeotto fu l’elenco di Milano…
Non per fare discriminazione geografica, ma “piuttosto che”, nato come “più tosto che”, è fiorentino del Dugento. Ma è diventato un misero “oppure” di recente nel nord Italia, negli elenchi dalle parti di Milano. Ecco, piuttosto che accettarlo come forma neologistica ci diamo all’esperanto. Poveri noi.
Adolfo Spezzaferro
1 commento
Bravo A. Spezzaferro da chi si è succcccato tanti “cioè”, “problemi e problematiche”, “cosa”… da rimaner rintronato davanti agli apostrofi! Un sentito grazie, nel mio piccolo, ai correttori di bozze, ai traduttori, ai suggeritori competenti (quest’ ultimi davvero timidi,rarissimi).