Pubblichiamo, per gentile concessione dell’editore, la prefazione di Marc Laudelout all’edizione italiana di La morte di Céline, pubblicata da Passaggio al Bosco e curata da Andrea Lombardi [IPN]
È nel 1961, anno della morte di Céline, che Dominique de Roux fonda i Cahiers de l’Herne. Si imporranno grazie al terzo numero, dedicato appunto a Céline. Con questo contributo di più di trecento pagine, formato in quarto – il cui successo porterà due anni dopo a un secondo quaderno della stessa importanza – Dominique de Roux fece da pioniere in un’epoca in cui Céline non aveva la statura che ha acquisito oggi. Raccogliendo delle testimonianze fondamentali, questi quaderni proponevano, egualmente per la prima volta, varie lettere dello scrittore, testi inediti o poco conosciuti, svariate testimonianze e saggi – da Rabi a Rebatet – consentendo di aprire un dibattito che a tutt’oggi non accenna a chiudersi.
L’influenza di Céline, Pound e Bernanos ha determinato in Dominique de Roux la vocazione di polemista, come sostengono alcuni? Fatto sta che nel 1966 pubblica questo saggio folgorante il quale, nonostante qualche errore di interpretazione, segna la svolta in un’esegesi céliniana fino ad allora relativamente convenzionale. Se questo libro non ha discreditato L’Herne, come non ha avuto timore di sostenere un commentatore fazioso, ha comunque mostrato il pericolo di essere in empatia con un soggetto esplosivo. Il solo fatto di dedicare due quaderni a Céline era già sospetto per alcuni, tanto più che veniva data la parola anche alle persone che erano state amiche del sulfureo scrittore. Quello che è incontestabile è che Dominique de Roux ha tracciato molte piste che sono state in seguito esplorate e approfondite da un esercito di céliniani. E non tutti hanno ammesso i loro debiti intellettuali verso questo precursore.
Il suo saggio su Céline è tanto un ritratto dello scrittore quanto di se stesso. Se l’ossessione della morte pervade l’opera dell’autore di Morte a credito, la stessa perseguita Dominique de Roux nel corso della sua breve esistenza. Sappiamo che era consapevole di essere condannato a morire giovane, a causa di una malattia cardiaca ereditaria. Ma questo libro è prima di tutto quello di uno scrittore attento allo stile che fece del nativo di Courbevoie un gigante delle lettere contemporanee: «L’opera di Céline resta uno degli enigmi esemplari del nostro tempo. È la scrittura a condannare Céline; è anche colei che lo salva». Mai in così poche parole il destino tragico dello scrittore sarà così ben definito.
Céline e Pound furono gli autori prediletti da Dominique de Roux. Li celebrò con un intrepido zelo, mettendo al loro servizio il suo grande talento di provocatore. Poiché l’ammirazione incondizionata non bastava alla sua entusiastica generosità: aveva bisogno di compromettersi totalmente, per difendere fino alla fine quello che la sua intelligenza poneva al di sopra di tutto. Da qui le sue liti con il gruppo di Tel quel, che appaiono ben ridicole oggi. Il fatto è che aveva a che fare con delle persone ideologizzate, mentre lui, pazzo di letteratura, aveva portato alla luce la profonda originalità di Céline, a dispetto di quello che gli si poteva, a buon diritto, rimproverare dopo la guerra.
Se Dominique de Roux non arrivò a capire la vera natura del razzismo céliniano, aveva, invece, ben compreso quanto Céline fosse ossessionato, come medico, dalla decomposizione del mondo moderno, oltre che dalla sua rassegnazione. Prima di essere un anacoreta disilluso, Céline propose un programma di rinascita basato sul culto della salute e della bellezza. E tutto il messaggio de La bella rogna, libello incendiario che lo mostra ancora fiducioso in una possibile reazione davanti alle forze distruttrici.
Mai Dominique de Roux cedette alla stupidità di separare il buon Céline (dei romanzi) dal cattivo Céline (dei pamphlet). Ci ricordiamo ancora quell’intervista televisiva in cui lesse dei passaggi, scelti giudiziosamente, di Bagatelle per un massacro, commentando inoltre con convinzione quell’esaltazione della grazia femminile della ballerina. È la sua leggerezza che contrasta straordinariamente con il materialismo gretto della nostra civiltà. Al di là delle polemiche insensate, tutto quello che costituisce la natura profonda di Céline, Dominique de Roux l’aveva compreso e detto forte e chiaro, prima di molti tardi esegeti dello scrittore. Ed è forse questo il motivo del rancore che costoro provano, ancor oggi, verso di lui.
Marc Laudelout
La morte di Céline, l’edizione italiana
Dominique de Roux
LA MORTE DI CÉLINE
Prefazione di Marc Laudelout
Con uno scritto di Stenio Solinas
Edizione italiana a cura di Andrea Lombardi
Traduzione di Valeria Ferretti
Pubblicata in Francia nel 1966, quest’opera dello scrittore, editore e agitatore culturale Dominique de Roux ha contribuito in maniera determinante a far sì che le visioni e l’opera di Louis-Ferdinand Céline non venissero seppellite con lui alla sua morte. De Roux, all’epoca appena trentunenne, contribuì a togliere lo scrittore dall’oblio nel quale era stato relegato dopo la sua scomparsa e a legittimarlo letterariamente, suscitando l’inizio di una discussione critica che ancora oggi non accenna a fermarsi. Un saggio critico-letterario, un omaggio a Céline, una profonda e sofferta riflessione sullo stato della letteratura e sul conformismo degli intellettuali. La morte di Céline è un flusso di coscienza che ci permette non solo di scandagliare a fondo l’anima dello scrittore, veggente e narratore dell’Apocalisse, ma anche di fissare il nostro sguardo nell’abisso del XX secolo, che continua a proiettare le sue luci e le sue ombre sul nostro tempo e oltre. Con una prefazione di Marc Laudelout e uno scritto di Stenio Solinas.
Passaggio al Bosco, Firenze 2022
Brossura con alette, Formato 12×16,5, 230 pagg., Euro 15,00
1 commento
” Una scrittura vera, profonda, come un sospiro, sibilante come un sonaglio, nauseante come un singhiozzo, lacerante come un chiodo e un dente.” … ” Perché la forma del linguaggio celiniano è tutta contenuta nel fatto che ci si impone con il lato brusco di un’evidenza, la brutalità di un evento, la crudeltà della tragedia. “Nessuno può sfuggirgli, non i contemporanei di Celine e non noi, qui e ora. Se l’argot dell’Autore stupisce (sia nel senso etimologico di “scuotere con un tuono” che nel senso filosofico di “interrogarsi” che mette in atto), è proprio perché produce, nel lettore, una vertigine, un vuoto, un difetto. (Jean-Paul Vialard)