Da qualche mese il pubblico e i lavoratori occidentali sono stati costretti a confrontarsi con un notevole aumento dei prezzi dei prodotti al dettaglio, o con la scarsità di alcuni materiali che ha provocato un allungamento dei tempi di produzione (come ad esempio le automobili). Per la prima volta da molto tempo, abbiamo sentito parlare di «interruzioni della produzione» per mancanza di materie prime e semilavorati o per il costo dell’energia troppo alto. Ma cosa sta succedendo?
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di febbraio 2022
Materie prime, senza confini = senza risorse
È piuttosto complesso da descrivere, dal momento che si tratta di eventi molto diversi tra loro che, intersecandosi, hanno generato questa sorta di «tempesta perfetta»; una tempesta che ora rischia di abbattersi soprattutto sull’Occidente, in particolare sull’Europa.
Tanto per cominciare, esiste il problema della catena di approvvigionamento mondiale (supply chain): decenni di liberismo, di delocalizzazioni, di «produrre dove costa meno» hanno spostato la produzione di moltissime merci lontano dall’Europa.
In particolare, settori come quello automobilistico – significativamente attenti a costruire processi di approvvigionamento sempre più ottimizzati, alla ricerca del miglior margine – hanno sparpagliato i propri fornitori e sottofornitori in tutto il pianeta, in particolare nell’Est asiatico. Ora, faticano a programmare la produzione di un prodotto finito estremamente complesso (come, appunto, l’automobile), perché non sono in grado di garantire che disporranno di ogni singolo pezzo necessario per assemblare il prodotto.
Ma al netto dell’intrinseca fragilità di un’economia occidentale che ha allungato le proprie linee di rifornimento in tutto il pianeta, nel dettaglio cosa ha inceppato questo meccanismo che, evidentemente, è proseguito fino ad oggi perché in qualche modo funzionava?
Maledetta pandemia
Esistono diversi fattori, ma molti analisti economici sono concordi nell’imputare al Covid e alla gestione dello stesso le prime perturbazioni. Le interruzioni a singhiozzo della produzione per tutto il 2020 e l’infinita quantità di ostacoli alla circolazione delle merci – si pensi a confini, porti e aeroporti chiusi o aperti solo a precise condizioni – ha reso molto meno efficiente il processo e ridotto le scorte dei Paesi produttori, in particolare quelle delle schede elettroniche (necessarie, oggi, praticamente per tutto). Alla ripartenza produttiva nel 2021 i Paesi produttori, con meno scorte e ridotta capacità, hanno dovuto compiere scelte o di natura economica (le schede elettroniche sono state vendute soprattutto al mercato dei cellulari, lasciando a bocca asciutta il settore automobilistico, ad esempio) o di natura politica (in alcuni casi le produzioni in Paesi come la Cina sono state improntate a precisi criteri di priorità stabiliti dal governo, con Pechino che ha vietato le esportazioni fino a che la domanda interna non venga soddisfatta). Sono inoltre accaduti eventi apparentemente incidentali che tuttavia hanno contribuito a provocare turbolenze in un mercato – quello della logistica internazionale – che, vivendo di margini e previsioni, tende a incepparsi con una certa facilità. Ad esempio, il blocco del Canale di Suez ha aumentato i tempi di percorrenza delle navi destinate in Europa, costringendole a circumnavigare l’Africa e mandando per settimane nel panico il settore nel Vecchio continente.
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La merce arrivava in luoghi diversi dal previsto, sovraccaricando alcuni snodi e trascurandone altri, mentre l’aumento del costo dei container ha paralizzato la spedizione della merce con basso margine (solo chi vende prodotti con ampio margine può permettersi di pagare l’affitto di un container 10mila dollari anziché 1.500). Inoltre, la scelta di ricorrere ai lockdown e di ridurre la vita sociale in Occidente ha spostato la domanda e i consumi del pubblico: la gente chiusa in casa ordina cellulari e prodotti di consumo, ma non compera automobili…