Roma, 22 mar – Durante il secondo conflitto mondiale la città di Roma fu ripetutamente obiettivo dell’aviazione tattica angloamericana tanto da venire colpita oltre 52 volte fra bombardamenti e spezzonamenti diurni e notturni. Degli oltre 52 raid subiti solo una manciata viene periodicamente ricordata: le due tristemente “celebri” incursioni diurne del 19 luglio e del 13 agosto 1943, il bombardamento del 3 marzo 1944 della Fabbrica Fiorentini nel quartiere Tiburtino e pochissimi altri sono reputati degni di periodiche commemorazioni. Molti di questi tristi eventi non sono ricordati da alcuna lapide. Nella maggior parte dei casi, la memoria è stata più o meno inconsciamente rimossa o affidata alla buona volontà di singoli ricercatori o dei parenti delle vittime. Tra questi un agghiacciante fatto accaduto il 18 marzo 1944.
I “danni collaterali” dei bombardamenti
A partire dai primi di febbraio del 1944, pochi giorni dopo lo sbarco di Anzio (22 gennaio), le forze aeree alleate iniziarono una serie di incursioni che miravano ad interdire il traffico ferroviario e stradale soprattutto nei dintorni della capitale. Lo scopo ufficiale era quello di interrompere la linea dei rifornimenti destinata ai fronti di Cassino e di Anzio ma esisteva anche un obiettivo inconfessabile mirato a fiaccare il morale della popolazione civile. Allora come oggi furono molti i cosiddetti “danni collaterali” causati da calcoli sbagliati (la quota dei bombardamenti lasciava ampi margini di errore), semplici fatalità o immotivate e crudeli prove di forza. Oggi – ad oltre 75 anni di distanza – è ancora vivo il ricordo delle precipitose fughe verso gli affollatissimi rifugi o nei poco rassicuranti “anticrollo” (cantine puntellate), della paura scatenata dal suono delle sirene d’allarme e del calvario degli sfollati, dei sopravvissuti o delle vittime di sciacalli e profittatori. Le testimonianze di prima mano, ancora facilmente reperibili, suonano incredibilmente distanti eppure tristemente familiari.
I quartieri popolari e densamente popolati della periferia est/sud-est, essendo posti nelle immediate vicinanze di stazioni, nodi ferroviari e centri di smistamento ebbero a subire particolari danni. Già si è parlato del bombardamento del 7 marzo 1944 che colpì, tra le altre, la popolosa zona della Garbatella. Proprio negli stessi giorni, il quartiere Nomentano-Italia, data la sua vicinanza alla stazione Tiburtina, fu oggetto di particolari “attenzioni” da parte dell’aviazione tattica della USAF. Tutta l’area, partendo da Piazza Bologna, passando per le case popolari di via Adalberto, via Eleonora d’Arborea, via Apuania, arrivando alle propaggini di San Lorenzo e del cimitero del Verano e alla zona adiacente villa Torlonia subirono bombardamenti, spezzonamenti, mitragliamenti diurni e notturni che causarono un numero imprecisato di vittime civili.
Il 3 Marzo 1944 55 quadrimotori B-17 (le famigerate Fortezze Volanti) arrivarono – seguendo la consueta rotta – sulla verticale della stazione Tiburtina e, a partire dalle 11:30, in pochi minuti, sganciarono nell’area un totale di 660 bombe, per un totale di 165 tonnellate di esplosivo, fra queste anche decine di bombe incendiarie e a scoppio ritardato. Le vittime civili furono oltre 400 e il doppio i feriti, solo al rifugio Fiorentini sulla via Tiburtina furono circa 189, numerosi i danni alle civili abitazioni.
Il 10 marzo 1944 vi fu una nuova incursione sullo scalo Tiburtino. Tra le 09.00 e le 09.20 decollarono da Cagliari-Elmas circa 40 bombardieri medi B-26 Marauder del 319° Bomb Group e 36 B-25 Mitchell del 320° Bomb Group che, tra le 11:29 e le 12:09, sganciarono – da un’altitudine di 2800 metri – un totale di 390 bombe da 500 libbre. Nei resoconti ufficiali dell’USAF si legge: “concentrazione di colpi sulla parte nord dello scalo, sui binari, vagoni merci e magazzini con vasti incendi. Alcune bombe cadute tra i palazzi ad ovest dello scalo dove sono presenti circa 300 vagoni merci“. Nonostante il bel tempo il cielo terso e la buona visibilità il bombardamento, definito dai comandi americani “micidiale”, causò gravi danni al quartiere Italia con gravi conseguenze alle abitazioni di Piazza Bologna. Vi furono circa 200 morti e numerosi feriti. Dalle foto aeree scattate dagli Alleati, utilizzate per la mappatura delle bombe a segno e per identificare i danni causati, si può notare che alcuni “stick” (grappoli di circa 18 bombe di piccolo potenziale), lanciate troppo presto, colpirono in pieno i lotti delle case popolari di via Adalberto. Nonostante la maggior parte delle bombe avesse centrato l’area dello scalo Tiburtino, alcune di esse raggiunsero la via Nomentana, Montesacro e – addirittura- via di Val Melaina. Resta famosa la foto del B-26 Marauder numero 28 (matricola 131573), nick name “ Little chum” pilotato dal sottotenente Clifford del 320° B.G. Squadron 442, colto nel preciso attimo dello sgancio del suo micidiale carico di morte e distruzione con ben evidente sullo sfondo il cupolone di San Pietro.
Il 14 marzo 1944 era un martedì, splendeva il sole e l’aria era tersa, tirava un leggero vento di tramontana. Erano le condizioni ideali per i bombardieri e la popolazione ne era conscia. Fu così che, puntuali, arrivarono 91 bombardieri B26 Marauder del 320°, 319° e 17° Bomb Group, 42° Wing. L’obbiettivo del giorno era lo scalo Prenestino, dove una precedente ricognizione e/o forse alcune “segnalazioni” da parte di locali informatori aveva indicato 400 vagoni carichi di rifornimenti pronti a partire per il fronte di Anzio. Il tutto era concentrato presso il terrapieno del cimitero del Verano fiancheggiante la linea ferroviaria. Documenti americani mostrano come, dopo il rendez-vous, gli aerei alleati avessero seguito la rotta che – ancora oggi – percorrono gli aerei commerciali che, da nord, fanno rotta su l’aeroporto di Ciampino. Le formazioni aeree alleate, seguendo una rotta nord-ovest-sud est, entravano all’altezza di Fregene e seguendo la linea ferroviaria Roma-Firenze, arrivavano sulle stazioni Tiburtina e Prenestina per poi proseguire verso l’ Aeroporto di Ciampino. Lo sganciamento delle bombe avvenne da 2700 metri e, dei 601 ordigni, molti erano a scoppio ritardato mirati ad infierire su superstiti e soccorritori. Come mostrano le foto aeree lo scalo Prenestino fu efficacemente colpito rendendolo inservibile per qualche tempo. Vennero colpite anche alcune zone adiacenti la stazione, il Cimitero del Verano e il rione Sant’Ippolito. Proprio qui venne colpito l’asilo delle Suore Sacramentine in oggi sede di un ostello scoutistico. Perirono sotto le macerie 9 suore, una inserviente e una bambina letteralmente scomparsa. Furono centrati anche il Palazzo del Sole in via della Lega Lombarda e alcuni stabili in via Adalberto, come evidenziato dal rapporto n. 7117/313-A.I. del Comando Forze di Polizia della Città Aperta di Roma. Non è dato sapere il totale numero preciso dei civili morti sotto le macerie in quella giornata, certamente assommò a diverse decine e numerosi furono i feriti, stante la cronica difficoltà dei militi dell’UNPA di agire velocemente in soccorso nelle zone sinistrate.
La tragedia del tram n.8
Sabato 18 marzo 1944, ore 15.00. Alcune testimonianze dirette concordano nel dire quanto fosse diffusa la convinzione che i bombardieri alleati colpissero solo la mattina. Forti di questo ingenuo convincimento molti, anche nelle zone più interessate, avevano ripreso le normali attività quotidiane, tra questi il maggiore Silvio Tinari di 29 anni reduce del fronte greco-albanese. La Signora Maria J.Tinari, sorella di Silvio e allora 14enne, racconta di come verso le 14:30 questi si fosse recato da piazza Salerno allo spaccio delle Ferrovie di via Manin nella zona della stazione Termini, lasciando a casa moglie e figli. Al ritorno prese il tram numero 8 in via Giovan Battista Morgagni ma, alle 15:15, le sirene d’allarme annunciarono – praticamente senza preavviso – l’ennesima incursione. Il tram venne centrato in pieno e la gran parte dei passeggeri, incluso il Maggiore Tinari, venne falciata. Colpito all’addome, ad una gamba e mutilato di una mano venne soccorso da un sacerdote e trasportato in una clinica antistante (clinica Ciancarelli) dove morì senza aver ripreso conoscenza. Il padre e il fratello, messisi alla sua ricerca, impiegarono due giorni a rinvenirne la salma all’obitorio dato che gli furono sottratti il portafogli con i documenti.
Al tempo circolò la voce che, avendo i tedeschi nascosto nei sotterranei del Policlinico dei depositi di munizioni, su segnalazione di alcuni informatori gli americani avevano bombardato il Policlinico e la vicina caserma Macao. Questa la cronaca del tempo:
“Nel pomeriggio di ieri alle ore 15.00, altre squadriglie di bombardieri nemici si portavano sul rione Nomentano e sul quartiere Italia lanciandovi grappoli di bombe da 120 kg. e vari spezzoni. Ecco i particolari: In via Giovan Battista Morgagni vittime sulla strada e crolli parziali di edifici. I piloti anglo-americani hanno sganciato spezzoni ed esplosivi di piccolo calibro. Al momento dell’incursione il tram della linea N. 8 con relativo rimorchio stracarico di passeggeri si dirigeva a regolare velocità verso il capolinea. E’ stato avvolto da esplosioni micidiali di alcuni spezzoni lanciati ai lati della linea stessa. Le due vetture sono state cosi falciate dall’ala della morte. Presso la linea tranviaria accorrevano i Vigili del Fuoco e i gregari dell’UNPA che rinvenivano 40 cadaveri e 20 feriti tutti più o meno gravi. La motrice del tram, bucherellata e semidistrutta aveva continuato la sua corsa con il suo carico di morte, priva di guida, tra lo strazio dei moribondi e lo spasimo lacerante dei feriti. Quando la vettura si e’ fermata di colpo per mancanza di energia elettrica! Vigili del Fuoco e gregari dell’UNPA, potevano constatare come tra i sedili insanguinati non vi fosse altro che un ammasso di cadaveri dilaniati e trasfigurati e alcuni feriti che emettevano disperatamente grida di dolore e implorazioni di aiuto“. (Il Giornale d’Italia, 19-20 marzo 1944).
Durante l’incursione il conduttore della vettura, insieme ad un donna e ai suoi due bambini, aprì le porte e si rifugiò a ridosso delle mura Aureliane che si ergono sulla parte alta di via Morgagni. Circondato dalle esplosioni e atterrito dallo spettacolo di morte attese la fine del raid invocando la protezione della Madonna. Dopo la guerra, per riconoscenza, eresse un piccolo altare nel muro con l’effige di Maria dove usava fermarsi a pregare. Con il tempo, data la vicinanza del Policlinico, tutto il muro fu riempito di ex voto a testimonianza delle grazie ricevute. Verso la metà degli anni ’60 tutto venne spostato nel Santuario del Divino Amore. Una immagine del “muro del pianto”, come allora veniva chiamato dai romani, appare anche nel celebre film “Vacanze Romane”, con Gregory Peck e Audrey Hepburn del 1953. Ad oggi nulla ricorda i morti del tram n°8 vittime dei bombardamenti alleati.
Massimo Castelli
Matteo Nardoni