Roma, 6 apr – “I Madness erano tutto quello che noi volevamo essere”. Così dichiarava “Chubby” Chris Henderson, cantante dei Combat 84 e membro dei Chelsea Headhunters. Questa frase ci fa capire cosa abbiano rappresentato i Madness nel Regno Unito. Non solo in ambito musicale ma soprattutto in ambito culturale e sociale. Una band in grado di piacere tanto agli hooligan, quanto gruppo rassicurante per le famiglie, capaci di divenire una vera istituzione britannica.
“I magnifici sette”
Un gruppo di sei amici della zona nord di Londra con la passione per la musica, decise nel 1976 di formare una band con alla voce Mike Barson, scegliendo di chiamarsi The North London Invaders, fino a quando nel 1977 si unì a loro Graham McPherson, conosciuto come Suggs, che ne divenne cantante e leader, portando così il gruppo alla caratteristica formazione a sette membri. Suggs però aveva più in testa il Chelsea della musica e quindi venne espulso, prima di esserne riammesso nel 1978. Ovvero quando cambiarono il nome in Morris and the Minors.
Nel 1979 la svolta epocale: dal titolo di una canzone dell’artista ska Prince Buster, “I magnifici sette” scelsero il nome Madness. Nel frattempo a Londra, dopo l’esplosione del punk, si stava vivendo un revival skinhead che si concentrava principalmente su due generi musicali: l’Oi! e lo ska revival. Proprio questo secondo genere divenne il cavallo di battaglia della band, che iniziò ad esibirsi con regolarità al Dublin Castle, celebre locale di Camden Town. Ovvero una zona particolarmente viva per quanto riguardava le sottoculture giovanili.
One Step Beyond…
Il loro primo singolo, The Prince, prodotto da Jerry Dammers, fondatore dei The Specials, ebbe un successo sorprendente. Tanto da arrivare al sedicesimo posto tra i brani più venduti nel Regno Unito. E consentendo alla band di esibirsi a Top of the Pops, seguitissimo show televisivo. Ciò consentì alla band di diventare popolare fuori dalla propria nicchia e di poter pubblicare il loro album d’esordio, One Step Beyond…, la cui title track, una cover di Prince Buster, divenne ben più famosa dell’originale. Ancora adesso è una delle canzoni più conosciute al mondo, nonché una delle più divertenti. L’album arrivò al secondo posto della classifica nazionale, come fece il successivo Absolutely.
Nel 1981 i Madness decisero di cambiare il loro stile e di diventare, con il disco 7, di fatto una band pop, tendenza che proseguì con gli album successivi. Anche se con meno successo di critica e pubblico, il gruppo diventò un’icona inglese esportata in tutto il mondo, realizzando spot persino in Giappone. I tanti anni insieme però avevano esacerbato i rapporti tra i membri della band, alcuni dei quali desideravano prendersi una pausa per dedicarsi maggiormente alla propria vita privata. Arrivò così lo scioglimento del progetto nel 1986. Nel 1988 ci fu un tentativo di reunion sotto il nome The Madness, ma l’album omonimo fu un fiasco, cosa che portò ad un nuovo allontanamento dalle scene.
Il ritorno dei Madness
Nel 1992 i Madness tornarono ad esibirsi dal vivo a Finsbury Park, davanti a 75 mila spettatori, dimostrando che non erano stati affatto dimenticati: Madstock! divenne così un appuntamento estivo ogni due anni fino al 1998, portando la band di nuovo in studio per realizzare nel 1999 Wonderful, il disco che segnò il loro ritorno, osannato dai fan e dalla critica. Nel 2003 poi fu il turno del musical teatrale Our House, ispirato alle loro canzoni, dimostrando che c’era un collante ancora molto forte tra il gruppo ed il pubblico, sia vecchio che nuovo. Da allora, se pur con diversi cambi di formazione, non si sono mai fermati. Arrivando persino ad esibirsi nel 2012 a Buckingham Palace per il Giubileo della Regina e alla cerimonia di chiusura del Giochi Olimpici di Londra.
Sette ragazzi di strada
Ma dietro al successo planetario della band abbiamo sette ragazzi dei quartieri della capitale inglese. Sette ragazzi di strada che hanno affrontato il successo anche combattendo con i propri demoni personali, partendo da concerti che erano teatri di scontri tra bande fino a suonare al cospetto della Regina Elisabetta. Il membro più celebre della band, Suggs, in particolare è sempre stato quello più problematico. Un vecchio skinhead, amico anche del cantante degli Skrewdriver Ian Stuart Donaldson, e membro della violenta firm dei Chelsea Headhunters (viaggiava sul loro iconico “Hate Bus”) ha recentemente ammesso di essere un alcolizzato e di stare cercando di smettere di bere dopo quarant’anni di eccessi, che lo avevano portato ad essere ormai impresentabile sul palco. È inoltre un grande amante dell’Italia, tanto da possedere una casa in Puglia e aver girato un programma tv alla scoperta delle bellezze della nostra Nazione. Ama talmente il Chelsea al punto che il club nel 1997, per festeggiare la vittoria della FA Cup, gli ha fatto incidere l’inno ufficiale dell’evento, dal titolo Blue Day.
Roberto Johnny Bresso