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L'Isis e l'attacco a BaalShamin: quel "Giove di Palmira" che un po' ci appartiene

by Davide Di Stefano
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11900585_1144383765576449_1479176075_oRoma, 24 ago – “O città dell’Eufrate! O strade di Palmira! O selve di colonne entro la immensa piana deserta, che cosa siete ormai?”. Chissà cosa scriverebbe oggi Hölderlin della “Perla del deserto” vedendola ostaggio dell’Isis, quale effetto avrebbero sortito le notizie della distruzione di uno dei suoi templi più importanti sulla coscienza del poeta tedesco, che già due secoli fa si interrogava sul destino della città siriana?

E così, dopo le esecuzioni di massa, dopo il martirio del suo direttore archeologico, ecco materializzarsi davanti a noi l’incubo finale: la distruzione dell’immenso patrimonio storico e culturale di Palmira.

Un’eredità che ci appartiene non solo per il dominio e le imponenti strutture edificate in epoca romana, ma che ci riguarda anche sotto il profilo spirituale. Signore del cielo e della folgore, sovrano degli dèi, a capo di una triade di divinità, con l’Aquila come animale totemico, BaalShamin, il cui tempio del II sec. d.C. è stato distrutto dagli uomini del Califfato, ha più di un attributo in comune con il Giove romano e in generale con gli déi sovrani dei popoli indoeuropei. Signori della folgore come il vedico Indra o il norreno Thor e soprattutto il greco Zeus.

Ma le affinità riguardano anche divinità come Urano e Saturno. Nella mitologia fenicia viene infatti invece riportato che BaalShamin, dio del cielo, fosse stato evirato da suo figlio BaalHadad, il quale a sua volta avrebbe poi dovuto fronteggiare l’opposizione del dio del tuono. Le analogie con il mito ellenico di Urano, Crono e la conseguente nascita di Zeus sono evidenti.

Ma più che ai greci, BaalShamin deve forse molte delle sue caratteristiche alla mitologia di un altro popolo indoeuropeo, quello degli hurriti. La storia narrata è sempre la stessa: Teshub, dio principale degli hurriti, fu concepito quando il dio Kumarbi morse e inghiottì i genitali di suo padre Anu. Gli hurriti provenivano probabilmente dall’Iran e tra il 1600 a.C. e il 1300 a.C. crearono il regno di Mitanni, che si estendeva su buona parte della Siria, compreso il territorio di Ugarit (da dove sembra provenire il culto di BaalShamin) e quello dell’attuale Palmira.

Discendenti con buona probabilità di quegli stessi indoari che conquistarono l’India e l’Iran e le cui gesta sono narrate nei Veda e nell’Avesta, gli hurriti veneravano Mitra, Varuna, Indra i Nasatya e altre divinità vediche. Lo testimonia un trattato stipulato tra il regno di Mitanni e gli Ittiti del 1300 a.C, in cui queste divinità vediche vengono invocate.

Gli stessi ittiti che scalzeranno il regno di Mitanni e che regneranno a lungo sul territorio siriano erano di origine indoeuropea e il loro dio principale, Tarhun, era rappresentato con una folgore, un’ascia bipenne, su un carro da guerra e il suo animale totemico era il toro (animale legato ad altre divinità indoeuropee come Zeus e Marte). In un ulteriore trattato stipulato intorno al 1300 A.c tra il sovrano ittita Suppiluliumas I e il re di Ugarit Niqmaddu II, per la prima volta viene citato BaalShamin in un testo scritto.

Tutte testimonianze che al di là delle frettolose e limitanti assimilazioni tra BaalShamin e Mercurio riportate da alcuni organi stampa, dimostrano come il legame tra la nostra cultura più ancestrale e i numi tutelari di Palmira siano evidenti. Al contrario le interpretazioni che vogliono Baal e BaalShamin come divinità collegate ad alcuni monoteismi sorti nel vicino oriente sembrano piuttosto erronee, visto che per l’ebraismo Baal è da considerare come un “falso idolo” e la stessa etimologia del Belzebù associato dai cristiani al demonio ha origine proprio da Baal e BaalShamin. Insomma l’Isis non sembra voler colpire solo la nostra storia e la nostra cultura, ma anche il nostro retaggio più ancestrale.

Davide Di Stefano

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