Roma, 5 ott – Il Vittoriale è ormai una prigione dorata, dove il “superuomo” dell’impresa di Fiume e del Volo su Vienna rivive solo sotto forma di ricordo, incapace di creare e dedito solo alla costruzione dell’opera omnia della propria esistenza. Al teatro Quirino di Roma, dall’11 al 16 ottobre va in scena “D’Annunzio segreto“, ultima interpretazione di Edoardo Sylos Labini, diretto da Francesco Sala nella drammaturgia di Angelo Crespi. Reduce dal grande successo di “Nerone: duemila anni di calunnie“, Labini torna al teatro Quirino questa volta nei panni di un Vate ormai alle prese con gli ultimi difficili anni della propria esistenza.
Che D’Annunzio è quello di questo spettacolo? L’inquilino del Vittoriale non è più il poeta soldato delle grandi imprese?
E’ anche quello di Fiume e del Volo su Vienna, ma ormai solo come ricordo. D’Annunzio al Vittoriale ricorda le gesta del superuomo, ma in quella che è divenuta la sua prigione dorata non crea più nulla, accumula solo oggetti e ricordi, vuole costruire l’opera omnia della sua vita. Il D’Annunzio che raccontiamo passa le sue giornate con le badesse, mette una contro l’altra la sua governante Amelie Mazoyer e Luisa Baccara, le sue gesta politiche non ci sono più.
E’ un Vate che in ogni caso non scivola nel patetismo. Possiamo dire che il senso tragico della sua esistenza è ancora presente?
Assolutamente sì. Lui si “rimprovera” di non essere morto a Fiume o a Vienna, rimpiange quella bella morte che ha cercato ma non ha trovato. Lui che era appassionato di cinematografo faceva proiettare continuamente “La carica dei 600” con Errol Flynn, invidiava quei soldati perché non essendo tornati erano divenuti eroi per l’eternità. Arriva quasi ad interpretare il “volo dell’arcangelo”, la caduta accidentale dal balcone del Vittoriale che quasi ne causò la morte nel 1922, come un tentativo di suicidio “eroico”.
Da Italo Balbo a Marinetti, da Nerone a D’Annunzio. Dove nasce la volontà di voler interpretare sempre di personaggi non conformi, discussi, spesso anche “condannati” dalla storia?
E’ una volontà culturale quella di far conoscere la storia da angolature diverse. Mi piace scoprire lati inediti di personaggi che non siamo abituati a studiare, personaggi che hanno la loro grandezza e tragicità, tratti che escono fuori dai miei spettacoli. Io non li dipingo come santi, ma hanno le loro qualità e i loro difetti e debolezze come tutti gli esseri umani. Non sopporto il manicheismo con il quale viene scritta la storia nel nostro paese, non ci sono da una parte i buoni e dall’altra i cattivi.
Sotto il profilo stilistico che tipo di spettacolo è “D’Annunzio segreto”?
Non c’è più il dj set come invece accadeva in altri spettacoli, c’è una scelta di contenuto: raccontiamo la storia d’Italia visto che pochi lo fanno, anzi, nessuno lo fa. La storia della nostra nazione, soprattutto quella del ‘900 è molto ricca e piena di spunti poetici. Eppure tutti sembrano concentrati su altro o si rifugiano nei classici. Del resto sono passati solo 100 anni ed è una storia con cui facciamo i conti ancora adesso.
Nel tuo spettacolo racconti anche un D’Annunzio esoterico e spirituale
Esatto. Soprattutto nel rapporto con la Duse. Perché se è vero che D’Annunzio triangolava con la Mazoyer e la Baccara, è vero anche che lui “parlava” con lo spirito della Duse, attraverso sedute spiritiche. C’era anche un D’Annunzio esoterico al Vittoriale, che nell’anniversario della morte della madre e della Duse, si rinchiudeva nella “stanza del lebbroso” e parlava con loro. La Duse è stata una figura materna per D’Annunzio, forse l’unica donna che ha amato e che lo ha capito, ma che come tutte le donne ha puntualmente tradito.
a cura di Davide Di Stefano