Roma, 13 dic – L’uomo che piantava gli alberi è il libro scritto da Jean Giono nel quale il protagonisya si accorge, proprio come in questi tempi, di avere due alleati che non lo tradiscono e che gli sono sempre leali: Dio e la natura.
La natura si offre in tutta la sua originaria bellezza all’uomo che pensa, però, solo a deviarne il suo decorso spontaneo. La terra infatti oggi viene sfruttata al massimo. Sono scomparsi i fossati che segnavano i confini tra le varie proprietà ed in cui crescevano tantissime varietà d’alberi, riparo di molti uccelli. E’ diventato quasi impossibile vedere tra un appezzamento e l’altro uno spazio dedicato alla coltivazione d’alberi, i piccoli boschi. I contadini di un tempo piantavano i vigneti, ma c’era sempre dello spazio per varie qualità d’alberi, tra cui quelli da frutto che costituivano una ricchezza per l’economia domestica. Anche attorno alla casa colonica si piantavano alberi per riposarsi all’ombra delle fitte fronde. Il verde imperversava tutt’attorno al casale, era vera poesia.
La fuga dai campi e l’industrializzazione hanno privato l’uomo della poesia. Le case che sono state abbandonate sono il risultato di un mondo contadino che si è notevolmente ridimensionato. Questo nostro mondo sta scomparendo per sempre, pochi si ribellano e sembra che tutto si diriga verso la dissacrazione della natura. Gli anziani seduti fuori dalle loro case osservavano i vecchi alberi che loro stessi avevano piantato e che ora invecchiavano con essi.
Una volta, spesso, si nasceva, si viveva e si moriva nella stessa casa e si respirava fino in fondo i ricordi della vita. Una volta si moriva davanti a un crocefisso, accanto al letto c’era il prete che dava l’estrema unzione. Oggi con questa pandemia ci si è privati anche della naturalezza di morire col conforto di un sacerdote od osservando almeno l’immagine del crocefisso. La pratica di piantare gli alberi era insegnata come gesto e rituale iniziatico ai bambini ed aveva un alto valore simbolico legato al saper vivere in armonia con la natura.
L’uomo che piantava gli alberi, ossia il pastore della Provenza, personaggio principale del libro, ha lavorato per 37 anni, umilmente, chinandosi sulla terra per interrare delle ghiande, pur sapendo che solo il 20% di esse sarebbe diventato una quercia. Ha così trasformato delle colline brulle in foreste di querce e faggi. Aveva deciso di raggiungere questo obiettivo primario nella vita senza porsi troppe domande sulla riuscita o meno del suo intento. Ma la costanza di un uomo semplice, fatta di amore e dedizione, in tutti quegli anni porterà a rivoluzionare un luogo deserto e abbandonato trasformandolo in un villaggio ornato di boschi e corsi d’acqua. Così come capita che la natura, ed anche lo stesso animo umano, vengano affossati e devastati di fronte all’avanzare sconsiderato dell’industrializzazione e della tecnologia disumanizzante, così può accadere esattamente il contrario grazie alla sola inversione di tendenza provocata dalle scelte e dalle azioni di un uomo solo apparentemente relegato nel suo piccolo guscio, ma il cui esempio e le cui opere lasceranno tracce indelebili. Il protagonista del libro Jean Giono scriveva infatti: “Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d’errore di fronte a una personalità indimenticabile”.
Emilio Del Bel Belluz
1 commento
Ottimo scritto. La questione è che pochi hanno oggi la possibilità di farlo perché siamo sempre più posti nella condizione di non poterlo fare, allontanati. Altri, pochi, si sono arrogati le possibilità ed il diritto di gestire la generosità (pure falsa), come pure i mezzi di produzione, i modi di produzione, di circolazione… i mezzi e i modi di pagamento. Sono vicinissimi al acquisto obbligato…
Può sembrare una immagine forte, “texana”: siamo sotto un laccio che strangola. Anche questo davvero indimenticabile.