Roma, 17 dic – Il 7 novembre è uscito in tutte le sale cinematografiche italiane “Il ragazzo dai pantaloni rosa”. Il film è ispirato alla storia di Andrea Spezzacatena, quindicenne che si tolse la vita il 20 novembre 2012 dopo essere stato vittima di ripetuti attacchi di bullismo e cyberbullismo dovuti ai suoi comportamenti ritenuti effeminati dai compagni di scuola.
Chi c’è dietro a questo progetto?
Il lungometraggio sta riscuotendo un grande successo, con numerosissime proiezioni dedicate agli istituti superiori e nelle scuole medie. Un film dalle premesse sicuramente nobili ma di cui si scoprono i veri intenti propagandistici nel momento della sua visione in sala. Partiamo dalle menti dietro a questo progetto: la regista è Margherita Ferri, emiliana classe 1984. Ha studiato nella umilissima scuola di cinema della UCLA oltre che nelle migliori scuole di cinema italiane. Nel biennio 2007-2008 è stata curatrice della sezione Cinema e Soggettiva cinema del festival Lgbt “Gender Bender”. Nel suo curriculum sono svariati i documentari sulla ideologia gender, tra i più importanti: “Under my Skin”, “Odio il rosa!” e “Zen sul ghiaccio gentile”. Non mancano anche i film sull’immigrazione e gli “italiani di seconda generazione”, come: “ZERO” e “Capitan Didier”, quest’ultimo è un cortometraggio girato con Emergency. Menzione onorevole, la regia dell’intellettuale programma targato MTV, “16 anni incinta”.
Il produttore è invece Roberto Proia, romano, nella sua biografia tanti film dalla qualità discutibile. Nel suo profilo Instagram un forte senso di appartenenza alla comunità lgbt, oltre a vari post atti a promuovere eventi come il “Roma Pride”. La sopracitata regista Ferri invece sfoggia nei suoi social la sua attiva partecipazione ai vari “EuroPride”. Ospitando conferenze sulla assistenza sanitaria trans, sulla de-stigmatizzazione della prostituzione, sull’aborto e sulla comunità queer. Nei profili dell’attore palermitano Corrado Fortuna, interprete del padre di Andrea Spezzacatena nel film, spiccano frasi sulla resistenza e sull’antifascismo, oltre che post su Benito Mussolini descritto come un maiale e con didascalie che fanno riferimento alla sua uccisione.
Insomma, non c’è bisogno di indagare troppo per scoprire che il film è scritto ed interpretato ad hoc da grandi esponenti del mondo woke, gli stessi che propongono di portare nelle scuole di ogni ordine e grado l’ideologia gender per cui un bambino decide il suo sesso non in base al suo organo riproduttivo ma solo dopo un lungo percorso, gli stessi promotori dell’inverosimile idea che nel mondo siamo tutti uguali.
Il ragazzo dai pantaloni rosa: la trama
Puntiamo adesso la nostra lente d’ingrandimento sul prodotto finale. La trama è costruita appositamente per sviluppare sin dall’inizio del film una sorta di sgradevole attrazione tra Andrea e Christian, il suo bullo, evidenziando una sindrome di Stoccolma presente già dal loro primo incontro, da prima che i due personaggi interagissero (ricordiamoci che stiamo parlando di due ragazzi che nel film sono poco più che tredicenni).
La storia originale è di una tristezza incommensurabile, che il cast ha manipolato a suo piacimento cercando di trasformare la vittima in un “eroe queer”. Andrea era un ragazzo debole e la sua debolezza e i suoi comportamenti erano molto probabilmente causati dall’assenza di una figura paterna nella sua vita. Infatti, dopo il divorzio dei suoi genitori, Andrea si trasferisce con la madre. Questo passaggio, educativamente cruciale nella vita di qualsiasi adolescente figlio di genitori separati e dalla delicatezza devastante, nel film viene attraversato in un tiro di schioppo facendo spazio esclusivamente a una presunta omosessualità o bisessualità di Andrea.
Una macchina da soldi
Spostiamo adesso il nostro focus sugli incassi al botteghino. Il film è saldo nei migliori posti della classifica degli incassi e ha recentemente superato 8,5 milioni di euro di introiti, cifre da capogiro per la casa di produzione Eagle Pictures. In definitiva, questo film è una macchina da soldi costruita nei minimi dettagli dai ricchi radical chic della sinistra antifascista e dai portavoce del pensiero unico, che sfrutta la sofferenza di una madre e come il peggiore degli sciacalli lucra sulla morte di un povero quindicenne. Il problema non è l’omofobia ma la forgiatura dello spirito dei ragazzi. Gli uomini sono sempre meno uomini ed è anche colpa di un ideale cancerogeno che si insidia sempre di più nelle menti dei giovani.
Alessandro Zucca