Roma, 1 set – Dimenticato da tutti nel secondo dopoguerra, il Forte di Fenestrelle è oggi simbolo della provincia di Torino. Silenzioso guardiano della Val Chisone, il suo recupero – iniziato negli anni ‘90 e ai giorni nostri ancora in corso – riconsegna all’Italia un sito maestoso e dall’inestimabile valore storico.
Tra Italia e Francia
Storie di frontiera, siamo sulla catena alpina a pochissimi chilometri dall’attuale confine con la Francia. Da secoli zona strategica in quanti per i galletti il trovarsi al di qua dei monti più importanti d’Europa avrebbe avvicinato Parigi a Torino. Ovvero alla Pianura Padana, al cuore del nostro stivale: rilevanza riconosciuta dalle pretese dello stesso De Gaulle alla fine del secondo conflitto mondiale.
Il complesso fortificato – tecnicamente la parola forte sarebbe infatti usata in maniera impropria – di Fenestrelle nasce con le prime strutture difensive erette sul finire del ‘600. Sopra al Chisone il Delfinato francese, sotto al torrente tributario del Po dominavano i Savoia. Proprio la casa sabauda – impersonata all’epoca da Vittorio Amedeo II – otterrà queste terre dopo la resa avversaria datata 31 agosto 1708. Una vittoria ufficializzata un lustro più tardi dal trattato di Utrecht.
Il forte di Fenestrelle
La “volpe” commissionò all’ingegnere militare Ignazio Bertola il compito di proteggere strutturalmente le valli tornate alla madrepatria. Utilizzando quanto già presente sul territorio, nella seconda metà del 1728 iniziarono lavori di sbarramento durati per diversi decenni (non consecutivi: terminarono infatti nel 1850). Dal monte Pinaia fino al preesistente Fort Mutin il complesso può contare su tre forti e sette ridotte. Le strutture erano unite ma indipendenti tra loro e soprattutto dotate di una propria autonomia gestionale in caso d’emergenza. Oltre un milione di metri quadri distribuiti su tre chilometri e un dislivello di 635 metri.
Il forte di Fenestrelle conta poi su due lunghi corridoi: quello esterno, conosciuto come reale, e la caratteristica “scala coperta”. Ovvero un condotto di quasi quattromila gradini assicurato da diversi ponti levatoi. Da qui si raggiungono tutti i forti. Inoltre i risalti – se visti da occhio esterno – potevano tranquillamente essere scambiati per semplici gradoni: ne scrive anche De Amicis nel suo Alle porte d’Italia.
Una fortezza inespugnabile
Un baluardo inespugnabile. Non deve quindi sorprendere che l’imponente sentinella alpina non sia mai stata protagonista di importanti avvenimenti bellici. La sola vista del gigante in pietra, ferro e legno fungeva da ottimo deterrente. Si mostravano i muscoli al nemico: preparandosi alla guerra dentro al presidio militare in realtà si assicurava la pace a questa porzione di Piemonte occidentale.
Si vis pacem para bellum, recita un’inflazionata locuzione latina. Più realisticamente i fatti dell’ultimo biennio ci hanno ricordato che nel sacro suolo europeo la tristissima opzione della guerra può (purtroppo) essere ancora una terribile realtà con la quale fare i conti. E se qualche benpensante prova ciclicamente a spiegarci l’inutilità della spesa militare, noi ripassiamo – tra le altre cose – la storia dimenticata del forte di Fenestrelle.
Marco Battistini