Questo articolo, che tratta della militanza fascista di Giuseppe Ungaretti, è stato pubblicato sul Primato Nazionale di agosto 2020
A cinquant’anni dalla morte di Giuseppe Ungaretti è giusto rileggere l’opera di un poeta che continua ad emozionarci per la sua straordinaria forza innovativa. Ma è altrettanto giusto ripercorrere e ripensare l’esperienza dell’intellettuale militante. Perché Ungaretti lo fu, e sotto le insegne di Mussolini e del fascismo. 1923: Giuseppe Ungaretti pubblica in 500 esemplari la raccolta di liriche Il porto sepolto. Il poeta ha 35 anni, si è sposato da quattro, lavora come impiegato presso l’Ufficio stampa del ministero degli Esteri.
Il poeta soldato
Nel suo archivio delle memorie ci sono le immagini dell’infanzia e della prima giovinezza trascorse ad Alessandria d’Egitto – Ungaretti viene da una famiglia contadina lucchese, emigrata in occasione dei lavori per lo scavo del Canale di Suez – gli anni della formazione intellettuale nel brillio turbinoso di Parigi, i drammatici scenari della guerra sul Carso. Là dove è maturata la sua vocazione poetica a contatto con il dolore e con la morte, certo, ma anche con la ricchissima umanità della vita in trincea. E tutto questo è testimonianza di cui bisogna dar conto. Così, la prima edizione del Porto sepolto esce nel 1916 a Udine, nel pieno del conflitto mondiale, per interessamento di Ettore Serra, giovane ufficiale compagno d’armi del poeta. Ma viene stampata in 80 esemplari e dunque circola entro un numero ristretto di persone. Anche se intellettualmente «di rango»: ad esempio, una copia Giuseppe l’ha inviata a Guillaume Apollinaire con cui ha stretto amicizia a Parigi, dove ha conosciuto anche Braque, Picasso, Modigliani e De Chirico; altre le ha destinate agli amici di Lacerba, la rivista fiorentina che ha dato spazio ai suoi versi.
Mussolini e «Il porto sepolto»
Adesso, però, siamo nel 1923 e ci sono tante novità. Prima di tutto la raccolta ungarettiana, stavolta stampata a La Spezia, conosce una ben più ampia tiratura; in secondo luogo contiene anche le poesie comprese in Allegria di naufragi, pubblicate dalla fiorentina Vallecchi nel 1919; in terzo luogo può fregiarsi di una prefazione davvero autorevole, visto che a firmarla è stato Benito Mussolini, da qualche mese capo del governo.
I rapporti tra i due datano dal 1914 e cioè da quando Ungaretti incontra per la prima volta il Duce che, espulso dal Partito socialista per aver sposato la causa dell’interventismo con un lungo articolo sull’Avanti!, ha sbattuto la porta, fondando Il Popolo d’Italia. Anche Ungaretti, che sarà tra le firme del quotidiano «dei combattenti e dei produttori», è arrivato all’idea di patria dopo un’iniziale milizia sovversiva, negli anni giovanili, ad Alessandria d’Egitto. Quando frequentava gli anarchici della «Baracca Rossa», un covo di rivoluzionari raccolti intorno ad un altro maledetto toscano, lo scrittore Enrico Pea.
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Nulla a che fare, comunque, col superiore carisma del «figlio del fabbro»: il Duce. Al punto che, in un profilo autobiografico inviato nel 1933 a Giovanni Ansaldo e restato a lungo inedito (lo pubblicherà Marcello Staglieno su Storia Illustrata nel marzo del 1986), si può leggere: «La mia devozione per quell’uomo è più forte della mia vita stessa. È tanta che ho voluto che, insieme al nome di mio padre, il mio bimbo portasse anche il suo» (si tratta di Antonio Benito Antonietto, nato tre anni prima).
Ungaretti fascista
Il fascista e mussoliniano «devoto» Giuseppe Ungaretti crede nella causa e nel 1935 è accolto nell’Antologia dei poeti fascisti, dove inneggia alla rivoluzione e al suo capo (si vedano i testi celebrativi nel Meridiano Mondadori Giuseppe Ungaretti. Vita d’un uomo. Tutte le poesie, 2009, a cura e con un saggio introduttivo di Carlo Ossola). Nel 1936 è invitato come professore di Letteratura italiana presso l’Università di San Paolo, in Brasile, dove resterà fino al 1942. Al suo rientro a Roma è nominato – senza concorso, ma per chiara fama – professore di Storia della letteratura moderna e contemporanea all’Università di Roma dal ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai. Nello stesso anno gli si aprono le porte della «fascistissima» Accademia d’Italia.
Due riconoscimenti prestigiosi e da lungo tempo ambiti. Ma agli «onori» mussoliniani nel dopoguerra antifascista seguono gli «oneri». Scrittori, poeti, artisti e professori «compromessi» si danno un gran daffare per cambiar casacca. Ungaretti all’inizio se la vede brutta: è sospeso dell’insegnamento, mentre inizia un procedimento per abolire la sua cattedra politicamente scorretta (si veda Mirella Serri, I redenti: gli intellettuali che vissero due volte, 1938-1948, Corbaccio, 2005). Nel ’47 la riabilitazione ufficiale. Seguono riconoscimenti, premi, italici allori, scazzi con Montale e Quasimodo, tra stizze e invidie reciproche. Loro, comunque, il Nobel lo avranno, Ungaretti no. Per colpa di Mussolini? Già, quella vecchia prefazione al Porto sepolto… E non solo una prefazione: perché Mussolini – è lui a raccontarlo ad Yvon De Begnac (Taccuinimussoliniani, a cura di Francesco Perfetti, Il Mulino, 1990) – editò a proprie spese la raccolta di poesie del «camerata di sicura fede»…
Mario Bernardi Guardi
1 commento
per i “pensatori” della sinistra,Ungaretti dovrebbe essere considerato a tutti gli effetti un poeta EGIZIANO,visto che oltre ad esservi nato,non ebbe mai a vedere l’Italia prima dei 19-20 anni.
non si capisce quindi come mai,il figlio di Muhammed,dopo appena qualche anno di scuola nel nostro Paese (pagato peraltro dai contribuenti italiani) dovrebbe diventare ITALIANO (!) in base al cosidetto “ius culturae” in salsa PD ed un Ungaretti,NATO E CRESCIUTO IN EGITTO, non sia per la stessa identica ragione diventato….Egiziano.