Roma, 23 gen – Il 15 gennaio 2021, si ricordavano i cent’ anni dalla nascita del grande scrittore italiano Giuseppe Sgarbi ma non ho trovato articoli a lui dedicati sui giornali.
Proprio il 15 gennaio scorso mi sono recato a vedere il fiume Livenza, dove Giuseppe Sgarbi amava venire a pescare insieme al cognato Bruno Cavallini. Di questa sua passione me ne parlò un giorno sua moglie, che mi telefonò per chiedermi un libro. Mi raccontò appunto del marito che amava la pesca e si recava, talvolta, proprio nel Veneto. Giuseppe Sgarbi, uno scrittore che ha sempre avuto una sua raffinatezza nello scrivere dell’esistenza e della sua passione per il fiume, in particolare per il suo Po, fiume amato anche dagli scrittori Bacchelli e Giovannino Guareschi, che hanno scritto delle pagine che rimangono e fanno ricca la letteratura.
Giuseppe Sgarbi e la passione per il fiume
Alcune volte mi è capitato di pensare alla solitudine benefica del pescatore e della fortuna che Giuseppe aveva nell’aver trovato il caro amico e cognato Bruno Cavallini, che amava il fiume con tutto il cuore. In un libro pubblicato postumo la morte del cognato è significativa una sua poesia scritta nel 1968, che diceva: «Io voglio vivere pescando e conto i giorni della mia esistenza numerandoli coi soli e con la pioggia che io avrò a godere soffrire, attendendo che il sughero s’affondi o che risuoni a tratti il campanello in cima della canna, che m’annunci la presenza di un’immensa carpa di un argenteo temolo, di una trota guizzante, nella solitudine immensa del Po di levante, del sonoro Livenza. Io sogno l’esistenza cordiale e sincera di chi non ode le prediche snervanti degli uomini che credono d’avere una missione».
Questa poesia risuona spesso davanti allo scorrere del Livenza e rimanda sempre il pensiero a Giuseppe Sgarbi e all’autore della poesia, il professore Bruno Cavallini. Si ama il fiume perché ti entra nel cuore e ti fa sentire il suo rumore, e il suo profumo. Il fluire delle sue acque porta con sé anche le tristezze di chi si ferma ad ammirarlo, il fiume è l’amico sincero che sa aspettare.
Una carriera iniziata a 90 anni
Lo scrittore che il 15 gennaio avrebbe compiuto cent’anni mi manca, come mi manca una persona cara. Leggendo le pagine di uno scrittore si ha la sensazione che sia sempre con noi, una presenza non solo nello scaffale che contiene i suoi libri. Giuseppe Sgarbi aveva cominciato a scrivere dopo i novant’anni, e io credo che ogni sua riga sia stata raffinata dallo scorrere della vita. In questo gli riconosco una grande umiltà, ha incominciato a scrivere dopo aver vissuto nel mondo delle lettere e dell’arte.
Un testamento spirituale
I suoi quattro libri sono come un testamento spirituale, lasciati al lettore da un uomo che ha completato il suo sentiero di vita. Il 23 gennaio 2021 saranno trascorsi tre anni dalla sua morte. Spesso mi capita di parlare di lui. Fu un buon padre ed un buon marito. Il tempo in cui viviamo è muto alla bellezza, ma se si leggono le pagine di Giuseppe Sgarbi si ha l’impressione che abbiamo perso molto per non aver vissuto il suo tempo, quando tutto era diverso, compresi i valori autentici ed intramontabili della vita. Dal libro di Giuseppe Sgarbi Lungo l’argine del tempo: «Ho fatto come il fiume: ho seguito il mio letto. Ho percorso la strada sulla quale mi trovavo, accettando quello che veniva, così come veniva. Non era rassegnazione. Sono convinto che ciascuno di noi ha un suo compito e che tutto quello che deve fare è farlo al meglio».
Mi viene in mente quello che ha scritto Emanuele Filiberto di Savoia, duca d’Aosta, nel suo testamento spirituale. «La sera scende sulla mia giornata laboriosa e, mentre le tenebre inondano e sommergono la mia vita terrena e sento avvicinarsi la fine, innalzo a Dio il mio pensiero riconoscente, per avermi concesso, nella vita, infinite grazie, ma soprattutto quella di servire la Patria e il mio Re con onore e con umiltà». Anche Giuseppe Sgarbi ha servito con onore e umiltà la Patria. Ed era cosciente di aver ricevuto doni importanti: quali la sua famiglia, quella da cui proveniva e quella da lui formata.
Giuseppe Sgarbi nel ricordo di Vittorio
Quando morì, il figlio Vittorio lo ricordò nel quotidiano Il Giornale del 24 gennaio 2018, con questa riflessione : «Mio padre ha atteso il giorno per morire. Dopo le grida della notte si è addormentato e si è preparato, elegante e beffardo, per affrontare il giorno. E’ morto nella luce, dopo essersi rivelato a me soltanto negli ultimi cinque anni, scrivendo alcuni libri bellissimi in cui ha parlato della sua vita, del fiume, di nostra madre, dei suoi figli. Conosceva molte cose, la poesia era nel suo cuore. Rimpiango che non ci abbia detto tutto, e abbia portato con sé una parte del mondo che ha visto e che non è riuscito a raccontaci».
Emilio Del Bel Belluz