Roma, 24 mag – Il primo conflitto mondiale è stato, forse, il primo momento nel quale gli italiani si sono davvero sentiti finalmente una nazione. Furono moltissimi, infatti, i soldati che, da ogni parte d’Italia, risalirono l’intera penisola per combattere al fianco dei compatrioti settentrionali, finalmente, come fratelli. Maurizio Zanfarino prestò servizio tra gli Arditi partendo dalla lontana Sardegna.
Soldato pluridecorato
La formazione militare di un soldato come Maurizio Zanfarino avvenne sin dalla tenera età. Il giovane, infatti, nato a Sassari il 10 maggio 1895, frequentò il Collegio Militare di Roma quando ancora era adolescente iniziando un percorso che lo porterà, nel 1916, ad ottenere il grado di sottotenente. Nel marzo del 1916, appena un mese dopo il termine della sua preparazione, venne assegnato al 46° Reggimento Fanteria di stanza sul Cadore.
Prima del termine dell’anno ottenne una promozione a tenente per essersi particolarmente distinto in campo di guerra. Ma Zanfarino era un soldato da prima linea, coraggioso e risoluto in ogni momento, in ogni occasione. Per questo motivo, infatti, il giovane sardo chiese, di sua sponte, di essere assegnato al nuovo reparto di soldati che rideva in faccia alla morte, il loro simbolo era un teschio con un pugnale tra i denti: gli Arditi.
Da Caporetto a Vittorio Veneto
La consacrazione di Maurizio Zanfarino ad eroe della Patria avvenne dopo un evento catastrofico per le sorti della guerra sul fronte italiano: la rotta di Caporetto. I maggiori esempi di tale virtù vennero messi in campo da Zanfarino sul Col Moschin, prima, e sul Monte Asolone, dopo. In entrambi i casi, il giovane venne decorato con una medaglia d’argento al valor militare. L’ultima ottenuta, in particolare, recita: “In un fiero e vittorioso combattimento, condusse la propria sezione mitragliatrici con mirabile audacia, e, nonostante le forti perdite subite, portò risolutamente le armi allo scoperto, in un terreno battuto dal violento fuoco avversario, per controbattere un nido di mitragliatrici, che causavano serie perdite alle nostre ondate d’attacco. Raggiunto lo scopo, caduto colpito a morte il proprio comandante di compagnia e rimasti feriti tutti gli altri ufficiali assunse il comando del reparto, impiegandolo con sano criterio tattico e guidandolo con impeto contro il nemico, al quale strappò prigionieri e catturò materiali. Durante la notte, incaricato della difesa di un tratto delicatissimo della nuova linea, con opportune ed intelligenti disposizioni poté infrangere tutti i tentativi nemici di riscossa”.
Il 29 ottobre 1918, quando – ormai – la guerra giungeva ad un’agognata fine, Maurizio Zanfarino venne ferito gravemente in una disperata controffensiva austriaca. Il giovane sardo non si riprenderà mai e morirà di lì a poche ore sostenuto dai suoi compagni. In suo onore, venne concessa la medaglia d’oro al valor militare: “Ufficiale di altissimo rendimento, già distintosi in precedenti fatti d’arme, troncò volontariamente la licenza di cui stava fruendo quando seppe che il battaglione era sul punto di iniziare una nuova azione offensiva, e da ufficiale di vettovagliamento insisté per essere portato sulla linea del fuoco. In fiero vittorioso combattimento, funzionando da aiutante maggiore di battaglione di assalto, diede prove luminose del più puro eroismo. Acceso da sacro entusiasmo, fieramente percorse più volte il terreno di combattimento, spazzato in modo micidiale dal fuoco di artiglieria e di numerosissime mitragliatrici, per dirigere reparti e consigliare ed incitare i combattenti. Con un pugno di prodi si slanciò contro il nemico minaccioso, impegnando fierissima lotta corpo a corpo e riuscendo a spezzarne l’impeto. Ferito gravemente il porta stendardo del reparto, impugnò il tricolore, sollevandolo, nel fragore della battaglia, ad incitamento, come simbolo della vittoria. Colpito a morte da una pallottola di mitragliatrice, che gli trapassava la gola, si abbatté di colpo, ma, facendo appello alle sue ultime forze, si rizzò sulle ginocchia, e, con voce rantolante, in faccia al nemico lanciò l’ultimo grido “Viva l’Italia !””.
Tommaso Lunardi
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