Roma, 18 gen – La figura più bella di riferimento che una persona possa avere è, oltre ai propri genitori, il proprio fratello maggiore. Un esempio che sa capire nel profondo la nostra situazione perché, molto probabilmente, lui stessa l’ha vissuta. E non c’è nulla di più longevo e duraturo di un legame tra fratelli. Questo lo capì bene Gian Luigi Zucchi che, alla notizia della morte del suo amato fratello Giuseppe, non attese un momento per mollare tutti gli agi che la vita gli aveva donato per andare a vendicarlo.
La tragedia di Giuseppe
Gian Luigi Zucchi era nato a Tradate il 31 agosto 1900. Lui e suo fratello, Giuseppe, erano, pressoché, inseparabili. Un legame sincero, puro e duraturo che si spezzò tutto d’un tratto. La Grande Guerra aveva chiamato alle armi il giovane varesino che, a Gorizia, troverà la morte nel 1916. Il dolore fu incredibile nel cuore di Gian Luigi Zucchi ma, non per questo, decise di rifugiarsi nella paura. Appena compiuti diciassette anni, infatti, l’età minima per potersi arruolare volontario, fece domanda di arruolamento al Regio Esercito.
Accolta la sua richiesta, partì alla volta del fronte con il grado di soldato semplice. Giunto al fronte, venne assegnato alla 76° Compagnia del Battaglione Cividale. La zona d’azione di Zucchi è quella della Catena del Lagorai nel Trentino orientale.
La rotta di Caporetto
Il Cividale fu vittima di una sorte decisamente avversa. Rimasto sguarnito dopo le continue offensive austriache, il battaglione venne decimato ma continuò a difendere la postazione di guerra. Durante la rotta di Caporetto, in particolare, sarà proprio il Cividale a combattere per difendere il Solarolo ed il Monte Grappa. L’attacco finale alle postazioni nemiche iniziò il 14 gennaio. Giunti sul luogo dell’attacco quattro giorni prima, i membri rimasti vennero esortati ad un’azione tanto eroica quanto rischiosa.
Gian Luigi Zucchi fu uno tra i primi ad offrirsi volontario per tale missione. Assieme ad altri soldati del battaglione, venne raggiunto da un gruppo di Arditi pronti a rompere la difensiva ed attaccare gli austriaci all’interno delle loro trincee. L’attacco si rivelò un fallimento e, mentre ripiegava, Zucchi si accorse che il suo fidato comandante era rimasto imprigionato nelle mani dei nemici. Il soldato non esitò: fece dietrofront e ritornò in trincea. Esortava i suoi soldati a combattere e cercava di difendere il suo comandante quando un colpo di baionetta lo trafisse.
Il suo eroico gesto viene riportato sulla medaglia d’oro conferitagli: “Volontario di guerra diciassettenne, si offrì di far parte di un gruppo d’arditi che doveva eseguire una incursione nelle linee nemiche. Primo si slanciò all’assalto e combattendo con la baionetta e con bombe a mano fu di esempio ai compagni, che alla fine, sopraffatti, dovettero ritirarsi. Accortosi che l’ufficiale comandante era rimasto in mano nemica, invitò i compagni a seguirlo e slanciatosi di nuovo sui nemici impegnava una lotto corpo a corpo. Riuscito ad avvicinarsi al proprio ufficiale mentre un soldato austriaco stava per vibrargli un colpo di baionetta, prontamente slanciavasi e, facendo scudo del proprio corpo al suo superiore, riceveva, in pieno, il colpo a lui diretto. Ferito a morte, sul punto di esalare l’anima generosa, trovava ancora la forza di gridare: “Viva l’Italia””.
Tommaso Lunardi