La pandemia globale causata dal Covid-19 ha toccato i nervi scoperti di un sistema che si illudeva di essere in grado di prevedere ogni cosa e di saperla imbrigliare senza grandi difficoltà, senza dolore e sofferenza. La diffusione del virus è stata incontenibile a causa della natura stessa della mondializzazione: il fatto che ogni angolo di mondo sia legato e dipendente da luoghi lontanissimi rende indifferente il punto d’origine della malattia, perché ben presto essa si diffonde ovunque. Non incontra ostacoli reali, si trova già ovunque e in nessun luogo. Non è possibile contenerla perché essa si trova già all’interno, ha già superato ogni eventuale ostacolo al punto da essere, alla fine, già contenuta all’interno di quel grande non-luogo che è il pianeta Terra. Perciò la pandemia è in-contenibile, è trattenuta interiormente, e la sua diffusione conosce solo i limiti imposti al virus da fattori climatici.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di maggio 2021
Al di là della letalità della malattia da Covid-19, l’aspetto più urgente che essa ha sollevato riguarda il rapporto con il dolore e la morte del mondo occidentale oggi. La formula «mondo occidentale» è abbastanza generica e indica i Paesi che aderiscono a un sistema politico liberal-democratico e credono nei valori dell’uguaglianza, della laicità e dei diritti umani. Come si è evidenziato in occasione delle reazioni avverse ai vaccini anti-Covid, la soglia di tolleranza del dolore e del pericolo da parte del cittadino occidentale medio si è dimostrata molto bassa. Questo ha causato reazioni anche scomposte e irrazionali, ma che d’altra parte sono il prodotto di un sistema culturale e educativo che ha bandito dal suo orizzonte tutto ciò che può essere sgradevole, negativo, tragico.
Una società in coma
Non si tratta naturalmente dell’unico caso. La pandemia da Covid-19 ha infatti dimostrato che la paura della morte e del dolore ha facilitato, quasi a ogni latitudine, la soppressione delle più basilari libertà personali. Nel suo ultimo saggio, La società senza dolore (Einaudi), il filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han tenta un’indagine sintetica e densa del rapporto delle società attuali colla sofferenza. Attraverso un percorso teoretico che affronta ampiamente lo Jünger del saggio sul dolore, Nietzsche e Heidegger, si articola una critica radicale a quella che viene definita società palliativa, una società da cui ogni forma di negatività autentica è stata abolita ed esclusa. Mentre in passato il dolore poteva avere tonalità eroiche oppure una funzione catartica, oggi non è altro che un qualcosa di estraneo e indesiderato da tenere lontano da sé.
Il Covid, il dolore e l’Occidente
Una società che però non sa e non vuole rapportarsi con il negativo, con l’«altro» da sé, è anche una società profondamente impolitica, in cui la democrazia a sua volta diventa palliativa, l’arte perde ogni autentica passione vitale e tutto si riduce a una variazione dell’uguale. Si rafforza così il potere totale e pervasivo del mercato, che richiede semplificazione, uguaglianza e assenza di alterità per prosperare. Diversamente dal potere disciplinare di tipo militare (Jünger) e di controllo (Foucault), quello attuale è di un grado più evoluto e sottile. Si tratta, dice Byung-Chul Han, di un…