Roma, 8 mar – La destra, negli ultimi 15 anni, ha spesso lasciato da parte la grande questione metafisica e spirituale che, dopo la fine della II Guerra Mondiale, aveva impregnato l’area culturale e militante del radicalismo nazionale: la questione dello spirito contro il mondo moderno e la decadenza. Evola Junger, Cioran, i libri del Gruppo di Ur, Guénon, la riscoperta del paganesimo etnico e anche del cristianesimo monastico e primitivo, furono per decenni l’antidoto per coloro che si rendevano conto di vivere in “mezzo alle rovine”, in un mondo in cui eravamo diventati dei reietti e degli “esuli in Patria“. Avevamo riscoperto e riadattato gli insegnamenti della tradizione primordiale ai fatti quotidiani delle nostre vite ordinarie e nella militanza, seguendo – ciascuno secondo la propria equazione personale – la via del soldato politico, del monaco, di colui che “cavalca la tigre”; per questo non si trattavano di libri la cui lettura veniva dettata da semplice cultura nozionistica, ma come fonte di trasformazione continua e costante.
La rivoluzione digitale e i meccanismi amorfi
Poi la rivoluzione digitale con i sui meccanismi amorfi e distruttrici di vita reale, ha affievolito quella che era una ricerca del “senso” e delle ultime verità dietro le apparenze della vita sociale, anche nell’area della destra più o meno radicale, impregnata sempre di più alla ricerca del consenso immediato. Eppure, proprio oggi, in mezzo ad una crisi mondiale che mette in discussione l’assetto globalista, neoliberista e della socialità liquida e senza identità – verso la quale abbiamo sempre avuto un atteggiamento di sfida e di critica – ci fa riscoprire la necessità dei limiti (“Peras” in greco vuol dire limite ed era pure considerata una divinità), e la paura della morte, che sembrava cancellata grazie al vivere in continuo stato di agitazione e di ansia, a causa sia di una comunicazione pervasiva social, che a causa di una penetrante economia digitale e dell’interscambio veloce tra i beni e le persone (vedi Amazon e le migrazioni di massa).
Evola ai tempi del coronavirus
Potremo pensare di essere davanti proprio alla “Krisis” (dal –κρίσις) che ha il significato di scelta, di decisione, quindi di opportunità (lo stesso significato lo si ritrova nell’ideogramma cinese wēijī 危機 che significa “momento cruciale”). E allora è il momento adatto per riprendere in mano i vecchi testi evoliani, per esempio, che ci indicavano la via a cui attenersi in tempi cupi e privi di speranze immediate, quando tutto sembra sfaldarsi; momenti che mettono a repentaglio le certezze granitiche della crescita e del benessere senza fine. Infatti egli stesso ci ricordava che una buona parte dell’umanità occidentale (oggi però dovremo dire “globale”) considera come cosa naturale che l’esistenza sia priva di ogni vero significato e non debba essere ordinata a nessun principio superiore, per cui si è acconciata a viverla nel modo più sopportabile, meno spiacevole possibile. Ciò ha tuttavia come controparte e conseguenza inevitabili una vita interiore sempre più ridotta, informe, labile e sfuggente, una crescente dissoluzione di ogni dirittura e di ogni qualità di carattere.
Mi viene in menta questa massima evoliana che richiama lo stile stoico, e che la si trovava scritta anche sui volantini e nelle sezioni della destra militante fino a pochi decenni fa: “Fai che ciò su cui nulla puoi nulla possa su di te”. Evola ci sprona anche a cercare i motivi veri e reconditi della crisi del mondo moderno al tempo del coronavirus, quando ci avverte che “ancora una volta, non si dimentichi la verità, da cui il mondo tradizionale era compenetrato: nulla accade quaggiù, che non sia simbolo ed effetto concordante di avvenimenti spirituali – fra spirito e realtà (e quindi anche potenza) vi è una intima relazione. Come conseguenza particolare di tale verità, si è già accennato che il vincere o perdere non furono mai considerati come puro caso“.
Una condotta stoica con lo sguardo allo Zen
Seguendo quindi una condotta stoica, antico-romana, secca, ci troveremo avvantaggiati a lasciare da parte le isterie, le ansie, le paure le angosce, che presto o tardi ammorberanno l’Italia e il mondo intero, se gli effetti del virus dovrebbero continuare a propagarsi in vari settori della vita, come quella economica e lavorativa. Il tempo che avremo a disposizione davanti ad una possibile catastrofe, dovrà essere sfruttato proprio come allenamento e palestra del corpo-mente-spirito, per mettere in atto e in pratica gli insegnamenti della saggezza della tradizione, tra cui quello di semplificarci e diminuire il chiasso mentale, per dare spazio a duna mente cristallina e stabile, mentre tutti intorno a noi perderanno la calma.
E sempre Evola ci indica ala strada, per esempio guardando alla disciplina Zen (pronuncia giapponese del carattere cinese “Chan” (禪), che a sua volta è la traduzione del termine sanscrito “Dhyana“: il suo significato letterale è “visione”, ma viene spesso tradotto anche con “meditazione”, intesa come “stato di perfetta equanimità e consapevolezza”). La pratica del Dhyana era largamente utilizzata nel buddismo, nell’induismo e nel jainismo per raggiungere l’illuminazione (che a seconda della religione era vista come perfetta purezza mentale, ricongiungimento con Dio). In queste brevi righe volevo soltanto dire che è arrivato il momento propizio per ritornare alla sorgente della tradizione e ai suoi insegnamenti, per ridare il senso al nostre essere qui, e per comprendere che quello che sta accadendo non è altro che il riflesso di forze metafisiche che non potevano non accadere, secondo anche gli insegnamenti cosmologici e astrologici tradizionali.
E allora non c’è niente a cui sperare né per cui disperare; non ci resta che comprendere e agire secondo l’antica massima cinese “Wei Wu“, Agire senza attaccamento, per fare ciò che deve essere fatto.
Il tetto si è bruciato:
ora
posso vedere la luna
Mizuta Masahide
(1657 -1723)
Emanuele Fusi
3 comments
Contento della vita semplice che ho scelto,
tra nebbie e rampicanti e grotte nella roccia,
senso di libertà nella natura selvaggia,
le nuvole bianche in ozio per compagne,
c’è la strada ma non raggiunge il mondo,
solo chi ha assopito i pensieri può arrivare qui,
siedo a notte da solo sul letto di pietra,
la luna piena sulla Montagna Fredda.
(Han Shan)
Il nome è ospite della realtà,
e io non desidero essere un ospite.
(Hsu-yu)
L’uomo vero non ha virtù, non ha sapere,
non ha merito, non ha nome.
(Kenko Hoshi)
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Visto che siamo in Occidente, non vi viene in mente Gesù Cristo e la promessa della vita eterna?