Roma, 8 dic – La massiccia presenza dell’irredentismo, ossia del patriottismo italiano, si può rintracciare sin dalla metà dell’Ottocento a Trieste, una città assieme simbolica, rilevante per dimensioni e significativa per la sua collocazione geografica e la sua storia.
Un governatore di questa città, il generale Ferencz Gyulai (poi feldmaresciallo, viceré del Lombardo-Veneto e comandante l’esercito austriaco nella guerra del 1859) nel 1848 aveva fatto pubblicare sull’Osservatore Triestino, che fungeva in pratica da organo di stampa governativo, un articolo di sua ispirazione, in cui contrapponeva i sudditi slavi, che egli reputava fedeli all’impero, agli italiani, che accusava invece di essere collettivamente ostili all’autorità imperiale. In verità, non pare che il governatore si sbagliasse.
Trieste città ostile
Nell’arco di pochi mesi dopo la pubblicazione di questo articolo, nel ’48 a Trieste si ebbero tre tentativi di insurrezione, tutti e tre stroncati sul nascere dall’imponente apparato militare e di polizia: tumulto del 20 agosto 1848, con morti e feriti ed arrestati; 10-11 ottobre altro tentativo di moto insurrezionale; poi disordini dal 23 al 29 ottobre. Il 17 marzo del 1849 Trieste era posta in stato d’assedio: un intero reggimento era stato concentrato ad Opicina, il Fürstenwärther. Il castello di Trieste era stato posto in stato d’allerta in previsione di un assedio ed era stata formata una guardia nazionale arruolata principalmente fra stranieri. La concentrazione di grosse forze militari a Trieste si ebbe quando l’Ungheria, la Lombardia ed il Veneto erano in piena rivolta, mentre l’esercito di Carlo Alberto incalzava quello di Radetzky. Nonostante questa situazione drammatica per l’impero, si era scelto di collocare alcune migliaia di uomini nella città tergestina, a dimostrazione sia dell’importanza ad essa riconosciuta, sia del pericolo di una sua insurrezione.
D’altronde, il Gyulai era uno dei più rinomati generali imperiali e per essere riuscito ad impedire l’insurrezione di Trieste divenne nel 1850 ministro della Guerra, poi comandante militare del Lombardo-Veneto, infine viceré. La sua carriera dipese in buona misura dai meriti acquisiti nel ’48.
Anche il governo centrale appariva convinto della lontananza della cittadinanza triestina dall’impero, tanto che il 28 ottobre 1848 esso aveva comunicato alle autorità imperiali a Trieste che contro la società dei triestini, «assolutamente italiana e antigermanica», bisognava sviluppare e valorizzare la società che avevano i tedeschi e quella, che allora si andava formando, di slavi. Coerentemente, già il 1 dicembre di quell’anno il Gyulai ordinava di favorire l’immigrazione slava.
La valutazione di tali giudizi passa attraverso la considerazione che i governatori ed il governo centrale avevano a loro disposizione la capillare rete di polizia e degli informatori. I capi della polizia conoscevano molto bene lo stato d’animo della popolazione, che cosa essa faceva e diceva, e lo riferivano con regolari relazioni ai loro superiori.
Ad esempio, sempre nel 1848 il capo della polizia di Trieste, tale Salm, comunicava a Vienna che i giornali più letti in città erano sette: Il Costituzionale, La Guardia nazionale, La Frusta, La Gazzetta di Trieste, Il Giornale di Trieste, Il Telegrafo della sera, Il Diavoletto. Fra questi, scriveva Salm, soltanto uno (Il diavoletto) era favorevole all’impero ed era anche il meno letto.
Durante gli anni successivi, le visite del Kaiser a Trieste palesarono la freddezza della cittadinanza nei suoi confronti. Il noto biografo di Francesco Giuseppe, Franz Herre, ha fornito una dettagliata descrizione dell’isolamento e dell’ostilità di cui imperatore ed imperatrice si trovarono circondati in Italia, ovunque andassero: Milano, Brescia, Venezia… Due visite del kaiser a Trieste, nel 1851 e 1856, furono ambedue negative politicamente, poiché la città in entrambe le circostanze si mostrò fredda e sprezzante verso la coppia imperiale. Alla visita del 1851 la carrozza alla sua partenza fu accompagnata non da un corteo di sudditi festanti, ma da sparuti gruppetti di ragazzini, alcuni dei quali fischiarono. In quella del 1856 la polizia si era messa in allarme mesi prima della venuta del sovrano, perché temeva che vi fossero pubbliche manifestazioni ostili al monarca. Una relazione della polizia aveva avvisato il ministero dell’Interno che un «ricevimento festoso alla Maestà era dubbioso». Dopo la sua partenza, il capo della polizia di Trieste, tale Hell, fece sapere che Francesco Giuseppe era rimasto scontento dell’accoglienza ricevuta. Un opuscolo pubblicato poco dopo dal barone Pascottini, alto funzionario governativo, dipinge al vivo le condizioni d’allora. Egli descriveva una Trieste in cui gli irredentisti erano ovunque, alacri per quanto nascosti, ed avevano saputo indurre la cittadinanza «all’apatia, al silenzio, al non intervento ai pubblici spettacoli», quando era venuto l’imperatore.
La consapevolezza che Trieste fosse, in maggioranza, contraria al dominio imperiale rimase radicata nelle autorità imperiali e venne riaffermata regolarmente sino al 1914. Nel 1859 la città finì nuovamente sotto stato d’assedio, nonostante la sua lontananza dal fronte, quindi per pure ragioni di ordine pubblico interno. Nel 1862, Francesco Giuseppe, parlando col maresciallo Thun, esprimeva il suo sdegno per le condizioni politiche di Trieste, mentre il ministro della Guerra la chiamava «nido di ribelli» (Rebellennest). Nel 1866, nuovamente Trieste era posta in stato d’assedio.
Pochi anni più tardi, il 5 agosto del 1869, il generale Karl Moering, Luogotenente del “Litorale” (ossia della Venezia Giulia) inviava una relazione al ministro Giskra. Egli scriveva che a Trieste la vita politica e sociale era interamente dominata da un blocco che riuniva quasi tutti gli italiani e che era antigovernativo.
L’esposizione per i 500 anni della cosiddetta dedizione all’Austria del 1382, tenutasi nel 1882, fu un disastro d’immagine per l’Austria. È superfluo ricordare che fu in quella circostanza che Oberdan progettò di uccidere Francesco Giuseppe e finì condannato a morte, fra la riprovazione dell’opinione pubblica internazionale per una sentenza capitale emessa non per un atto realizzato, ma unicamente progettato, il che è giuridicamente ben diverso. Ma l’esposizione stessa fu fallimentare. L’inaugurazione solenne, con la presenza di un arciduca e di svariate autorità governative, andò praticamente deserta, perché i triestini la boicottarono.
Spirito irredentista
Ancora pochi anni prima del conflitto mondiale i funzionari e militari asburgici scrivevano nei loro rapporti ufficiali che la cittadinanza triestina era prevalentemente irredentista, per cui ordinarono misure coerenti con questa loro ferma convinzione. Ad esempio, la brutalità della repressione dello sciopero del Lloyd del 1902, con tre distinte sparatorie dei militari sulla folla dei manifestanti (almeno 14 morti, un numero imprecisato di feriti) fu dovuta all’idea che i manifestanti fossero in larga misura irredentisti. Il governo di Vienna aveva esplicitamente ordinato di «dare un esempio». La città fu posta nuovamente in stato d’assedio e tale rimase da febbraio ad aprile. Addirittura furono fatte arrivare unità militari da località come Klagenfurt e Lubiana e tre corazzate da Pola. Da Vienna fu spedito il boia di stato Lang, lo stesso che successivamente impiccò Battisti. È in quella circostanza che Conrad von Hötzendorf, allora governatore militare e successivamente divenuto capo di stato maggiore imperiale, si convinse che l’irredentismo era socialmente e culturalmente invincibile e che occorreva usare la forza.
Il governatore austriaco di quegli anni, Leopold von Goess, sconsigliò formalmente e per iscritto di concedere una università di lingua italiana a Trieste perché i Volksitaliener (termine in uso nell’amministrazione imperiale per designare coloro che erano di nazionalità italiana, sebbene giuridicamente sudditi dell’impero: Volksitalianer significa proprio “italiano di nazionalità”) erano sfavorevoli al dominio austriaco. All’incirca, è quanto ebbe a dire colui che lo sostituì nella carica Statthalter, Konrad zu Hohenlohe-Schillingsfürst, che contrappose la fedeltà all’impero degli sloveni, che andavano a suo parere aiutati, rispetto all’ostilità degli italiani.
Il luogotenente di Trieste, barone Alfred Fries-Skene, nominato nel febbraio 1915 trasmise al governo una relazione segreta nel 1916 nella quale riferiva sia della situazione della città e regione durante il conflitto, sia nel periodo d’anteguerra. Il Die politische Verwaltung des Küstenlander in eineinhalb Kriegsjahern descriveva una Trieste che già prima del 1915 era pervasa da un forte spirito irredentista, con l’amministrazione comunale e tutto il suo apparato, le scuole, il maggior quotidiano cittadino ossia Il Piccolo tutti ostili all’autorità imperiale.
L’idea che la popolazione di Trieste fosse composta in massima parte da irredentisti non si ritrova soltanto nei libri e nelle memorie dei nazionalisti italiani, ma nella documentazione e nelle decisioni ufficiali dell’amministrazione imperiale. Il breve elenco sopra riportato è largamente incompleto.
Marco Vigna
2 comments
Cosa dir.. Viva l’A e po bon!
[…] Svevo, Umberto Saba Claudio Magris e Paolo Rumiz, ma in passato anche luoghi di incubazione dell’irredentismo triestino. Infine, caffè a Trieste significa anche ordinare un “capo in b tanta” o un “goccia“. Con […]