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Cartastràccia, La Haine: l’Occidente è diventato uno zoo

by Lorenzo Cafarchio
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La Haine, Cartastraccia

Cartastràccia, il libraio di Altaforte racconta La Haine

Roma, 24 nov – Nique la police. La finestra sul mondo si apre. Respiri a pieni polmoni l’aria della periferia. Un elicottero riempie le nostre orecchie, il bianco e nero delle vite degli invisibili. Dj Cut Killer sistema i dischi, guarda là fuori, si passa le mani sul volto. Indossa la t-shirt dei Cypress Hill, band culto della contaminazione tra hardcore ed hip-hop, iniziando a dimenarsi sulla consolle. Escono le parole di KRS-One che abbracciano il timbro straziato ed eterno di Edith Piaf, il drone della telecamera intanto riprende i palazzoni della banlieue parigina. L’immagine tremolante è la descrizione, lapalissiana, degli anni ‘90. “Cazzo è da sballo”, dice Vinz a Said mentre una vacca affaccia il suo passo languido nei palazzoni senza identità di Parigi. L’Odio, La Haine, è un film generazionale che ha trovato il suo affrancamento nella deriva dell’Europa.

Il disastro del melting pot

Mathieu Kassovitz, il regista della pellicola, all’epoca dell’uscita nella sale cinematografico del lungometraggio aveva 28 anni. Siamo nel 1995 e la Francia è avanguardia di quel mondo in procinto di diventare globale, di quel mondo fatto di disordini sociali che risponde alla rivolta avvenuta a Los Angeles tra il 29 aprile 1992 ed il 4 maggio dello stesso anno. Il tutto all’indomani dell’assoluzione di quattro agenti di polizia che il 3 marzo 1991 pestarono a sangue il tassista afroamericano Rodney King ferendolo gravemente. Una sommossa che causò 63 vittime ed oltre 2.000 feriti. La società melting pot che trova nella, perenne, violenza il suo disequilibrio. Il suo abbruttimento, il suo fine pena mai. Perché la bellezza, così lontana, non farà le rivoluzioni, come scrisse Albert Camus, “ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza”. Eppure la venuta di questo benedetto giorno, all’ombra dell’omologazione del capitale, è ancora nascosto nei meandri, oscuri, dell’avvenire.

La Haine, la violenza dello zoo prodotto del puritanesimo

L’Odio è piaciuto a tutti. A tutti quelli che non hanno compreso le periferie. A tutti quelli che le periferie non le hanno mai vissute. A tutti quelli che pensano che i quartieri popolari in fondo, in fondo siano degli zoo safari. “Non siamo mica a Thoiry”, grida Vinz contro i giornalisti durante il girato (Thoiry è uno zoo alle porte di Parigi). A tutti quelli che pur provenendo da ambienti pop sono diventati lo Zio Tom della borghesia. Non a caso il celebrato fumettista antifascista Zerocalcare annovera la pellicola come suo film preferito. Il caso, qualcuno direbbe, non esiste mai.

Vinz, Hubert e Said i protagonisti de La Haine sono tre volti della banlieue parigina e muovono le loro ventiquattrore all’indomani della ripassata che la polizia ha inflitto ad Abdel riducendolo, in ospedale, in fin di vita. Violenza, violenza e ancora violenza. La società del puritanesimo ha bisogno dei suoi apolidi, così come i tre giovani al centro della vicenda, sacrificabili sull’altare del progresso. Sull’altare dell’inedia. Dopo 26 anni il gergo, il bianco e nero del film intervallato dal verlan – nome affibbiato ad un tipico linguaggio gergale francese, l’envers ossia al contrario – le movenze, il vestiario e i pensieri hanno colonizzato l’Occidente. Nike, Lacoste e Reebok marchi che raccontano l’urbana decadenza messa in metrica dal rap autentica voce dei giovani, questa volta veramente a differenza dei Sex Pistol, senza futuro.

Il desiderio di apparire delle anime perse

In un album del 2002 di Fabri Fibra, Turbe giovanili, che ha il suono dei novanta, la quasi totalità delle tracce è prodotta da Neffa. Nel brano Dalla A alla Z il rapper di Senigallia mette in metrica: “Dalla A alla Z è l’uomo che prega Iddio / Nonostante il demonio in noi si fa il suo Duomo / Io faccio fatica a radunar le mie forze / Esercitati oggi radunano gli eserciti”. Ed è questa l’apatia, il fatalismo che emerge da un film sensazionale che ha fotografato le anime perse, gli essi vivono per dirla alla Carpenter, di una generazione figlia della linearità della storia. Dove tutto è una retta, senza spirali, senza ritorni come il riflusso sempre uguale e sempre diverso dell’onda. Dove tutto è la proiezione del desiderio d’apparire per corpi privi di vita.

Lorenzo Cafarchio

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