Cartastràccia, il libraio di Altaforte racconta Gustave Le Bon
Roma, 27 mag – La canzone di questo tempo è un lamento incomprensibile. Il mumbling, borbottio in italiano, del fu Juice WRLD come sottofondo. Eppure come cantava Guy Béart: “Il primo che dice la verità, deve essere giustiziato”. Per questo quando non si può uccidere la fisicità di un uomo il suo ricordo e il suo pensiero vengono relegati nell’oblio. Di Gustave Le Bon nel 1926 Benito Mussolini, quando il mondo era ai piedi del rivoluzionario di Dovia di Predappio, disse: “Ho letto tutta l’opera”, dell’antropologo, psicologo e sociologo francese, “non so quante volte abbia riletto la sua Psicologia delle folle. È un’opera capitale alla quale spesso ritorno”. Le Bon ha cercato, nei meandri dell’Europa, l’anima dei popoli, perché ogni popolo “possiede una costituzione mentale” tanto importante quanto i suoi “caratteri anatomici”. Ma soprattutto il popolo è guidato “più dai suoi morti che dai suoi vivi”.
Gustave Le Bon e la natura della folla
Hölderlin, nel 1802, scrisse che “dove è pericolo, lì cresce anche ciò che salva”. Un’eterna lotta che vede l’uomo prostrato tra tradizione ed opinione. Proprio i due sovrani di cui parlava Le Bon. Perché laddove esiste un’anima, una tendenza, una speranza esiste sempre un contraltare fatto di passato e presente. Esso spesso ci fanno dimenticare che, fondamentalmente, è solo l’avvenire a costruire la grandezza di quello che vogliamo incarnare. La natura intrinseca della folla è quella di tendere a popolo perché “appena scompare l’anima nazionale” esso si disgrega. Lo possiamo vedere attorno a noi, mentre tutto si scioglie nella società liquida paventata nei concetti di Zygmunt Bauman.
L’uomo ha bisogno di essere contagiato, anche se può sembrare un controsenso nell’era della pandemia. “Nelle folle” infatti “le idee, i sentimenti, le emozioni, le credenze possiedono un potere contagioso”. Come fosse un unico grande sentire che pervade le cavità più remote del nostro carattere. Ancora oggi, i padroni del vapore, sembrano conoscere alla lettera le teorie del pensatore di Nogent-le-Rotrou. Una semplice questione di inversione dei poli, capace di fare in modo che agli uomini non vengano imposte “soltanto certe opinioni, ma anche certi modi di sentire”.
Un libro che influenzò tutti (o quasi)
Le Bon è stato maestro per Mussolini e Hitler, ma anche per Lenin e Stalin senza dimenticare che a lui si rifece anche Roosevelt. Fascismo, comunismo e capitalismo che bussano alle porte dell’antropologo delle masse. Nel 1895 Gustave Le Bon diede alle stampe Psicologia delle folle, la sua opera più notoria. Ed è proprio lì, ben prima di Oswald Spengler, che ci ammonisce sulle sorti dell’Occidente. “Il dogma del suffragio universale possiede oggi il potere della cristianità dogmatica”. Una stilettata ai principi del 1789, che vengono riverberati fino a noi attraverso il 1968 e il 1989.
Qui Le Bon ci mette in guardia sull’auto da fè dell’uomo moderno. “L’individuo finisce col non avere altra preoccupazione che sé stesso”. Una sorta di dio personale armato di specchi. Una sorta di dio personale disarmato della propria vitalità. Elemento essenziale perché in fondo è proprio la vitalità la coscienza ultima del popolo.
Lorenzo Cafarchio