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«Big Other»: quando Raspail accusava le élite che preferiscono lo straniero

by Adriano Scianca
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Raspail

In occasione della scomparsa del grande scrittore Jean Raspail, autore de Il campo dei santi, proponiamo qui uno stralcio de L’identità sacra, saggio di Adriano Scianca, in cui si affrontava uno dei concetti cardine della poetica raspailiana, quello del Big Other… [IPN]

Roma, 13 giu – Jean Raspail, il profetico autore del romanzo Il Campo dei Santi, che nel 1973 riusciva a illustrare alla perfezione quella che quarant’anni dopo sarebbe stata la realtà quotidiana delle coste siciliane o greche, ha dato un nome all’ideologia del “prima gli altri” che è ormai diventata pensiero unico fra le attuali élite: Big Other. Il pensiero del “Grande Altro”, dello straniero venuto a redimerci, a salvarci, dell’estraneo più bello, più giusto e più buono, permea tutto il discorso ufficiale, in parallelo con un inestinguibile odio di sé. È ciò che Guillaume Faye ha già denunciato sotto il nome di etnomasochismo.

L’attacco alle élite cosmopolite

L’espressione raspailiana è ovviamente un calco del Big Brother orwelliano, di cui rappresenta peraltro un’evoluzione. «Una temibile falange si agita, cresciuta dal seno della nostra stessa nazione, e non di meno tutta interamente impegnata al servizio volontario dell’Altro: Big OtherBig Other vi vede. Big Other vi sorveglia. Big Other ha mille voci, occhi e orecchie dappertutto. È il Figlio Unico del pensiero dominante, come il Cristo è il Figlio di Dio e procede dallo Spirito Santo. Egli si insinua nelle coscienze. Raggira le anime caritatevoli. Semina il dubbio tra i più lucidi. Niente gli sfugge. Niente lascia passare. Come Lenin in altre circostanze, egli dispone di una folla di “utili idioti”. La sua parola è sovrana. E il buono popolo lo segue, ipnotizzato, anestetizzato, riempito come un’oca di certezze angeliche…».

L’attacco alle élite cosmopolite ed immigrazioniste non poteva essere più feroce: «Perché si ostinano a distruggere le fondamenta di questo Paese? In verità, loro sono ancora francesi? Perché declinano all’infinito, fino a sazietà, dissociandoli dalla Francia, i loro “valori repubblicani”, sul modello di Laurent Fabius, uno dei nostri ex primi ministri, che nel 2003, al congresso del Partito socialista, dichiarava: “Quando la Marianna dei nostri comuni avrà il bel viso di un giovane francese venuto dall’immigrazione, quel giorno avremo compiuto un passo per far vivere pienamente i valori della Repubblica…”? Perché si accaniscono tutti a negare il carattere intangibile – e sacro, ma questo non possono concepirlo – della patria carnale? È il cammino del tradimento. Big Other ha chiamato».

La religione dell’Altro

La preferenza allogena delinea un intero sistema di dominio. Ha spiegato François Bousquet: «Come in 1984, Big Other si è dotato di una neolingua – la retorica dei diritti dell’uomo – di un partito – il partito del Bene – e di un sistema di sorveglianza: l’implacabile super-Io antirazzista che si suppone noi abbiamo interiorizzato e che funziona come un tribunale della coscienza. Il tutto delinea la religione dell’Altro, ciò che in filosofia si chiama l’alterità. L’alterità è l’altro compreso come ciò che è esteriore a se stessi. Ma questo è il punto: l’altro, ormai, non è più esteriore, siamo noi stessi che siamo diventati esteriori alla nostra tradizione, alla nostra natura storica, al nostro essere autentico, stranieri, per così dire, alla nostra stessa cultura. L’amore dell’altro – un amore eccessivo, malsano, morboso – è esclusivo: implica di rinunciare al possesso di sé per adottare, e persino sposare, solo il punto di vista dell’altro».

Il saggista ed ex deputato europeo del Front national, Jean-Yves Le Gallou, ha peraltro completato la definizione di Raspail aggiungendo al Grande Altro due ulteriori elementi che vanno a completare la triade del nostro suicidio: «L’Europa, la Francia, vivono sotto il giogo di un’ideologia unica: Big Other. Una ammirazione senza limiti per l’altro, amplificata dall’odio di sé, dalla propria cultura, della propria civiltà. Un’ideologia unica che ci assoggetta grazie ai metodi del Big Brother: la società di sorveglianza che conosciamo, in cui la polizia del pensiero è onnipresente. Un’ideologia unica che si impone tanto più facilmente a individui che sono indeboliti dalla tutela di Big Mother: il principio di precauzione che va applicato dalla culla alla tomba. Salvo che in un ambito, sembra: quello delle… politiche migratorie». La Grande Mamma ci rende deboli e svirilizzati, il Grande Fratello ci sorveglia affinché, comunque, non mostriamo segni di ribellione residua, il Grande Altro ci conquista le anime e la terra. Ossessione della precauzione, sorveglianza panottica, rapporto patologico con l’alterità: è così che muore un popolo.

Il monito di Raspail

Ma chi è, in definitiva, questo Altro che ci seduce, che ci strega, che finisce per non lasciarci più aria? «Colui che non appartiene alla nostra religione, alla nostra cultura, a tutto ciò che è costitutivo della nostra civiltà e la cui presenza massiva modificherà profondamente la struttura del nostro Paese», risponde Raspail. Forse lo scrittore cattolico, che nel suo romanzo immaginava la Francia conquistata da invasori indiani portatori di una spiritualità politeista oscura e selvaggia, fa le cose più semplici di quanto non siano. Del resto il problema non è l’alterità in sé, che è anzi fondamentale alla costruzione dell’identità, ma l’Altro che invade, deborda, sostituisce il Sé. E il mitologico “arricchimento culturale” portato dall’immigrazione? Non esiste, è una bufala, un’idiozia, una chimera. Non è vero che tramite l’immigrazione il confronto con l’altro ci arricchisce culturalmente. È vero il contrario: l’immigrazione è esattamente l’elemento che impedisce tale arricchimento, che peraltro avviene in tutti gli altri casi di confronto con l’altro. «L’Altro, l’estraneo, lo straniero, arricchiscono quando restano tali. Se si spogliassero della loro alterità, s’impoverirebbero a tal punto da perdere ogni significatività», scriveva Giovanni Damiano. Big Other mira esattamente ad azzerare tale significatività, in noi e di conseguenza nell’altro.

Adriano Scianca

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