Roma, 2 feb – Gli archeologi italiani hanno scoperto un tesoro di quasi 600 asce di ossidiana, realizzate più di 1,2 milioni di anni fa, che inaugurano un nuovo primato nella ricerca storica portando indietro le lancette della civiltà umana. Ad aggiungere un tocco di romanticismo a questa scoperta tricolore, è che la stessa è avvenuta in una vecchia colonia italiana della Seconda guerra mondiale, quell’Etiopia di re Haile Selassié che trovò il Regio Esercito intervenire a difesa dei fedeli copti e delle popolazioni della confinante Eritrea. Come dicevamo, la scoperta porta ora indietro la cronologia dell’uso degli strumenti di ossidiana di ben 500.000 anni, rispetto a quanto fino ad oggi si pensava, e rivela che gli uomini, o ominidi, che vivevano in questa parte dell’Etiopia, meglio nota come Melka Kunture, dovevano essere artigiani considerevolmente abili per poter lavorare con questo materiale capriccioso.
L’ossidiana ha accompagnato l’evoluzione umana
L’ossidiana è un vetro vulcanico che si forma dalla lava rapidamente raffreddata, un’origine che conferisce a questa roccia il tipico colore scuro e la struttura fragile. Essendo un vetro fragile e tagliente, l’ossidiana è un materiale utile per fabbricare strumenti e armi, ma quelle stesse qualità lo rendono difficile da scolpire perché può facilmente rompersi e causare ferite. Fin dai tempi più remoti, e oggi ancora più remoti, molte culture umane hanno fatto affidamento sull’ossidiana per oggetti puramente estetici oppure per strumenti di uso funzionale. L’uso dell’ossidiana risulta più concentrato nell’era del Pleistocene (2.580.000 – 11.700 di anni fa), ma il team di scienziati guidati da Margherita Mussi, archeologa dell’Università La Sapienza di Roma, hanno scoperto quello che chiamano un “aumento dello sfruttamento dell’ossidiana più di 1,2 milioni di anni fa”. Gli esseri umani che vivevano lungo il fiume etiope Awash, ci lasciano oggi in eredità 578 asce che i ricercatori hanno rinvenuto a Melka Kunture. Di queste, tutte tranne tre, erano fatte di ossidiana.
Seguendo l’evoluzione umana tra le tracce della preistoria
“In seguito alla deposizione di un accumulo di ciottoli di ossidiana da parte di un fiume serpeggiante, gli ominidi hanno iniziato a sfruttarli in modi nuovi, producendo grandi strumenti con taglienti affilati”, ha dichiarato l’archeologa italiana de La Sapienza. “Noi sosteniamo che gli ominidi stavano facendo molto di più che reagire semplicemente ai cambiamenti ambientali; stavano approfittando di nuove opportunità e sviluppando nuove tecniche e nuove abilità”. Secondo Margherita Mussi, gli esseri umani sono gli unici ominidi che camminano ancora oggi sulla Terra ma, la nostra più ampia famiglia ancestrale, una volta comprendeva una varietà di parenti stretti durante l’era del Pleistocene. Alcuni di questi uomini preistorici scolpivano semplici strumenti di pietra già 3,3 milioni di anni fa. In precedenza però, si presumeva che l’uso di “laboratori” dedicati alla fabbricazione di utensili fosse emerso molto più tardi nella documentazione archeologica. “L’archeologia del Pleistocene registra il cambiamento del comportamento e delle capacità dei primi ominidi – prosegue l’archeologa – . Questi cambiamenti comportamentali, ad esempio, per gli strumenti di pietra, sono comunemente legati a vincoli ambientali”.
Una scoperta tutta italiana che riscrive la storia
“È stato affermato che, in passato, più attività della vita quotidiana erano tutte condotte uniformemente nello stesso punto – spiega poi Margherita Mussi – La separazione delle attività mirate in diverse località, che indica un grado di pianificazione, secondo questa mentalità caratterizza gli ominidi successivi solo da 500.000 anni fa”. Secondo lo studio dell’università di Roma, gli antenati etiopi di Melka Kunture, hanno però realizzato le loro asce manuali di ossidiana con una standardizzazione “notevole” e un’attenzione ai dettagli “focalizzata sulla regolarizzazione finale dei manufatti. Attraverso l’analisi statistica, mostriamo che si trattava di un’attività mirata, che venivano prodotte asce manuali molto standardizzate e che si trattava di un laboratorio di strumenti di pietra“, conclude Mussi. Questo nuovo studio tutto italiano è già candidato a riscrivere la storia dell’uomo e apre ora una finestra allettante sulla misteriosa comunità di ominidi che viveva in questo ecosistema fluviale 1,2 milioni di anni fa. Qui le più antiche comunità potrebbero aver imparato a sfruttare alcune delle risorse più impegnative dell’ambiente.
Africa Orientale culla dell’umanità?
Terra antichissima, misteriosa e affascinante anche per i delicati tratti somatici delle sue genti, l’Africa orientale si ritiene sia stata la vera culla della specie umana. Nella valle del Rift, in Etiopia, sono stati scoperti resti di ominidi risalenti a oltre 4 milioni di anni fa e, proprio nella regione etiope di Afar, fu ritrovato il famoso scheletro di Lucy, l’Australopithecus afarensis risalente a 3,2 milioni di anni fa. Qui, inoltre, sono stati rinvenuti resti di Homo sapiens risalenti a 200’000 anni fa e, questo, ha portato l’Etiopia ad essere considerata tra i più probabili luoghi dove hanno avuto origine gli esseri umani anatomicamente moderni (Homo sapiens), da cui si sarebbero diffusi in Medio Oriente e nel resto del mondo. Molte culture preistoriche che nel corso dei millenni hanno abitato l’Africa orientale, come i pigmei di etnia batwa o i khoisan delle regioni costiere dell’Oceano Indiano, potrebbero aver svolto un importantissimo ruolo nel diffondere forse il più antico modello di civiltà. Iscrizioni egiziane del II millennio a.C. attestano contatti tra i pigmei, chiamati danzatori degli dei, e la civiltà egizia, indicando che questa etnia fosse estesa in passato in regioni molto più a nord di quelle attuali, fino forse al basso Nilo.
Andrea Bonazza