Roma, 23 mar – Oggi Matteo Renzi salirà al Colle per decidere con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella il nome del prossimo ministro dei Lavori pubblici. La scelta cadrà o su un fedelissimo dell’ex sindaco di Firenze o su un magistrato. C’è bisogno di un uomo al di sopra di ogni sospetto. In pratica, a ricoprire quel ruolo sarà o Graziano Del Rio o Raffaele Cantone. Non si capisce la ragione antropologica per cui chi ha vinto il concorso per diventare giudice sia moralmente superiore rispetto al resto degli italiani. Ma da circa 25 anni nel dubbio si sceglie una toga.
Ma quali sono le doti che dovrebbe avere il successore di Lupi? La risposta la troviamo nella storia che da sempre è magistra vitae.
Gli esempi non mancano. Soffermiamoci su due ministri: Araldo di Crollanza e Luigi Razza. Iniziamo dal primo.
Araldo di Crollanza, aveva il tricolore nel Dna. Nasce a Bari, il 19 maggio 1892, da una nobile famiglia valtellinese, morirà a Roma il 18 gennaio 1986. Come Virgilio che nasce a Mantova canta le glorie di Roma e muore a Taranto. Fascista della prima ora, concepiva la militanza politica come azione perenne. Comincia a lasciare il segno nel 1926 come potestà di Bari. Qui realizzò la Fiera del Levante, concepita come grande centro mercantile internazionale, l’Università, il lungomare, i principali edifici pubblici e il porto, le opere di difesa della città dalle alluvioni.
Viene nominato Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici il 9 luglio 1928, carica di maggiore rilevanza in considerazione del fatto che il ministro è lo stesso Mussolini. Viene nominato ministro dei Lavori pubblici, a trentotto anni, il 13 febbraio 1930. Il suo impegno d’ora in poi si realizzerà nella politica di grandi lavori pubblici voluta dal regime: la sistemazione generale della rete stradale nazionale, attraverso la fondazione dell’Azienda autonoma delle strade statali, la direttissima ferroviaria Firenze-Bologna, il ponte sulla Laguna, collegante Mestre e Venezia. Rimane in carica fino al 24 gennaio 1935, quando lascia il dicastero.
Lasciata la responsabilità del Ministero dei lavori pubblici viene nominato presidente dell’Opera nazionale combattenti, ricoprendo, altresì, numerosi altri incarichi in organi di gestione quali l’Ente di rinascita delle Tre Venezie, i consorzi di bonifica di Littoria e Pontina, l’Istituto nazionale LUCE. Realizza la trasformazione fondiaria dell’agro pontino e romano e l’ampliamento edilizio e urbanistico di Littoria, la costruzione di Aprilia e Pomezia. Provvede, inoltre, alle prime grandi trasformazioni fondiarie ed agrarie nel Tavoliere delle Puglie e nel Basso Volturno, alla bonifica integrale di una vasta zona della Dalmazia. Tutto questo in solo dieci anni nel dicastero delle opere pubbliche. Non c’era cantiere in Italia in cui non ci si aspettasse la sua visita improvvisa.
Giuseppe Di Vittorio, storico leader della Cgil, disse: “Senza Crollalanza io non esisterei perché i miei genitori non avrebbero nemmeno avuto la forza di procrearmi”.
Ma chi prese il suo posto al ministero dei Lavori Pubblici? Fu un tale Luigi Razza, figlio di una casalinga e di un agente di custodia. Nato a Vibo Valentia e cresciuto a Noto. Durante la Prima guerra mondiale fu uno dei pochi a partire volontario, nonostante fosse stato riformato.
Il fato non gli fu amico. Morì il sei agosto 1935 in un disastro aereo nel cielo di Almaza (Cairo) mentre si recava in Eritrea.
Furono certamente pochi sei mesi per lasciare un segno. Ma di Lui rimangono alcune frasi che costituivano il suo progetto politico. Due su tutte. “Niente più lavori assegnati per ragioni elettorali o di polizia. Programmi di opere necessarie a risolvere problemi essenziali per la vita del Paese”. “ Il ricco non può godere le sue sostanze, se intorno e vicino vive una folla di sventurati ed affamati”. Dedicò la sua breve vita al riscatto del mezzogiorno. Il suo carisma contagiò anche suoi contemporanei più illustri. Gabriele d’Annunzio così gli si rivolse in una lettera autografa indirizzata a “S.E. il Ministro dei Lavori Pubblici Luigi Razza di Calabria” e scritta a Roma: “ La tua amicizia è diventata il novo calore del mio Eremo e la mia malinconia è meno fosca. Ti scriverò ti abbraccio. Firmato Gabriele d’Annunzio Duca di Ragusa”.
La storia di questi due uomini non è certo un modo per rievocare una presunta età dell’oro. Anche allora c’erano i corrotti. Ma si trattava e i tratta di un fenomeno fisiologico. Il loro esempio è importante per capire cosa manca oggi.
Se esistesse qualcuno come Razza o Araldo di Crollanza si ritroverebbe in un sistema politico amministrativo infernale. Per combattere la corruzione, infatti, abbiamo ben pensato di creare un codice per gli Appalti che è composto da 273 articoli, 1.560 commi e 148 rinvii. Il regolamento di attuazione poi è fatto di altri 358 articoli con 1.392 commi. Il risultato è stato che a 14 anni dalla Legge Obiettivo le opere ultimate sono solo 8% (285 miliardi di opere previste a fronte di quelle realizzate che valgono 23,8 miliardi).
La politica è incerta. Si ha paura di fare temendo di finire davanti ad un Tribunale. Un’opera incompiuta si può sempre giustificare. Un avviso di garanzia, no. Allo stato attuale, la nostra classe dirigente ricorda la parabola dell’Asino di Buridano, che preferì morire di sete piuttosto che scegliere da quale recipiente bere.
Salvatore Recupero