Roma, 16 gen – Lo scorso cinque gennaio è stato il 130º anniversario della nascita di Angelo Bellani, eroe di guerra. Approfondiamo la figura di questo grande uomo e conosciamo la sua storia.
Gli inizi
Figura celebrata durante il fascismo, con commemorazioni e cippi, Bellani venne al mondo il cinque gennaio 1895 a Villanterio, in provincia di Pavia. A 20 anni, si arruolò e fu incorporato nel 2º Bersaglieri, combattendo durante la Prima Guerra Mondiale. Sul Carso e in Albania guadagnò la Medaglia d’Argento al Valor Militare e la promozione a Caporal Maggiore. Al congedo fu poi promosso con i galloni di Sergente per merito di guerra, andando ad arricchire un medagliere di tutto rispetto. Combattente onorato, Bellani fu come molti abbandonato dalle istituzioni e ripudiato dai socialisti e dalla sinistra protocomunista, la cui unica aspirazione era attuare una rivoluzione proletaria a scapito della vittoria durante la Grande Guerra.
Bellani e l’adesione al fascismo
Dopo la sezione pavese dei Fasci Italiani di Combattimento, si formò quella di Copiano, nell’alto pavese, promossa appunto dal professor Arturo Bianchi: figura rappresentativa del fascismo pavese, insegnante e reduce della Grande Guerra proprio come Bellani. Il Bersagliere, grande patriota ed ex combattente deluso, aderì con convinzione al fascismo, rivedendo nel Manifesto di San Sepolcro il sogno rivoluzionario dei reduci, sbeffeggiati dall’antipatriottismo della sinistra socialista. Arturo Bianchi era un fascista convinto, un tipo fegatoso, non si tirava indietro davanti a nulla, e durante il biennio rosso affrontò con coraggio i bolscevichi. Fu proprio Bellani a salvarlo in un’occasione da un linciaggio da parte proprio degli Arditi del Popolo; in guerra aveva visto morire altri giovani come lui. Il professore copianese fu poi nominato aiutante maggiore del 1° Battaglione Ciclisti del Gruppo Camice Nera di Pavia.
L’agguato
Bellani fu ferito mortalmente in uno scontro tra fascisti e arditi del popolo ad Albuzzano la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1921. Sulla strada che da Albuzzano porta a Vigalfo e Filighera. La festa del paese per i comunisti doveva essere l’occasione per tendere una trappola mortale ai fascisti. A seguito del contatto, il Bellani resta a terra, agonizzante, e che si spegne l’indomani all’ospedale San Matteo di Pavia.
La sua morte, per mano degli Arditi del Popolo, provoca la rottura del fragile patto di pacificazione fra socialisti e fascisti pavesi della primavera precedente, e la guerra civile in provincia di Pavia riprende in tutta la sua virulenza. Bellani divenne un Martire della Rivoluzione Fascista; un eroe, assassinato a sangue freddo dai comunisti in un agguato, e la sua tomba insieme alla casa della madre divennero immediatamente luoghi di visita da parte dei quadri del Fascismo ogni volta che qualche gerarca si recava in visita a Pavia. Per Bianchi la morte di Bellani segnò la fine d’ogni pace con i “rossi”.
Gli aggressori
Le responsabilità per l’uccisione del giovane squadrista di Villanterio non furono mai penalmente accertate: il processo contro il capo pavese degli Arditi del Popolo, Franco Passalacqua e i suoi complici si concluse con un’assoluzione, almeno relativamente all’imputazione di omicidio. Il fascismo, nella sua offensiva, ha i suoi caduti nella guerra civile. Sicuramente gli Arditi di Passalacqua, prima di essere sgominati dai regi carabinieri, non si fanno problemi ad usare la violenza come arma di lotta politica. Più spesso le reazioni degli squadristi all’innalzamento della tensione da parte dei “compagni” avvengono senza incontrare resistenza, di fronte all’atteggiamento remissivo dei comunisti.
Anche Arturo Bianchi, che ricostruì storiograficamente le vicende del fascismo pavese – poi pezzo grosso della brigata nera durante la Repubblica sociale e fucilato a Pavia dopo la fine della guerra – fu uno dei primi a recuperare la figura di Bellani per evitarne la dispersione dalla memoria. E fu proprio Bianchi, nella sua Storia del fascismo pavese a tratteggiare una sorta di caccia all’uomo da parte degli Arditi del Popolo. Fino all’agguato conclusivo. Clemente Ferrario, nel suo Le origini del Pci nel pavese, parla invece di uno «scontro a fuoco». Agguato o sparatoria, comunque, la verità su quella notte probabilmente non la si conoscerà mai, e Bellani non ottenne mai giustizia.
La “Disperatissima” Angelo Bellani
I funerali di Angelo Bellani si fecero a Pavia e Villanterio, dove poi fu seppellito. A Pavia si radunarono tutti i fascisti pavesi. In un solenne corteo di gagliardetti e camice nere; la bara fu portata sulla camionetta del fascio che altre volte aveva portato Bellani insieme ai suoi camerati in altre avventure. La camionetta degli squadristi era bucherellato da colpi di proiettili d’altre imboscate dei “rossi”. I fascisti di Villanterio, superstiti del piano comunista, accompagnarono sul camion la bara del Martire fascista. Erano tutti in divisa: camicia nera, fez rosso e pantaloni militari (grigio-verdi), la divisa del fascio di Copiano.
In quei giorni tutti i giornali riportarono la cronaca dei fatti, a Villanterio i funerali furono imponenti. Parteciparono tutti i rappresentanti dei fasci della provincia di Milano e Lodi; le sezioni pavesi e il Fascio di Sant’Angelo; i giornalisti del “Popolo d’Italia”, “La Provincia”, “Fanfulla di Lodi”, dell’allora “Corriere di Pavia” e “Il Popolo”. Sulla tomba del Bellani si susseguirono gli interventi dei quadri dei fasci milanesi, del suo grande amico Arturo Bianchi. Quel giorno il professor Bianchi e gli altri fascisti, giurarono al padre di Bellani, sulla tomba del figlio, che il suo amato Angelo sarebbe stato vendicato. Il 21 ottobre radunò a Villanterio tutti i “neri” della zona, di Copiano e dintorni e costituisce la “Disperatissima Angelo Bellani”.
«Bellani l’era robusto, un tipo tosto», lo ricordava con affetto e orgoglio la gente di Villanterio. «Era coraggioso e generoso tanto da non esitare mai nel pericolo anche a costo della propria vita. Lui stesso lo diceva che non gli importava di morire per la sua amata Italia». Un vanto per il paese durante il Ventennio.
Patrizio Podestà