Napoli, 14 feb – L’alba tossica di Massimiliano Costantino Esposito, un fotogramma criptico e monocromatico, dei silenzi siderali ed angoscianti delle periferie abbandonate di Napoli e Caserta. Un viaggio introspettivo e muto, nelle nebulose della solitudine intellettuale di pochi, intorno i territori avvelenati nell’era post globale della Terra dei Fuochi.
“L’alba tossica” della Terra dei Fuochi
La scatola nera della modernità, dove sono più evidenti le secrezioni tossiche e disumanizzanti di un sistema iniquo, quasi irreale, al limite della degenerazione antropologica. La terra diventa morte, il rinnegare l’identità ancestrale dei nostri avi, il fuoco che consuma tutto ciò che il mondo ricco non vuole più, generando morte. Palazzoni dormitorio, piloni stradali, campi rom, discariche. Centri commerciali, siti archeologici e monumenti devastati dall’incuria di politica e popolazione senza più memoria. Emigrazione, omologazione, abbandono sociale. Spirito di sopravvivenza e spregiudicata creatività endemica. Dentro questi contenitori, che spesso diventano contenuti, contraddizioni isteriche al limite della schizofrenia intellettuale. Il tempo è quello della pandemia, dell’apoteosi del mondo senza confini, del mondialismo senza compromessi. O del suo definitivo tracollo, in un crepuscolare, quanto incerto, cammino dell’umanità verso il Caos preinstallato.
Terra dei fuochi e crisi della post modernità
Una prima raccolta di pamphlet istantanei, dediti alla decomposizione cognitiva di tutte le piccole certezze somministrate dall’alto, quotidianamente digerite. La crisi della post modernità, vista dall’angolo più infernale che si possa immaginare. Dal caos apocalittico ed antropologico, delle sue periferie. I toni, a tratti surrealisti, tendono a ricalcare il distacco dalle masse, oramai ridotte ad essere il contenitore più polarizzato e reazionario, avanguardia dei poteri precostituiti. Utilizzate da questi ultimi, nell’opera di indottrinamento e di controllo sociale.
“L’alba tossica” delle nostre coscienze
Scarni dialoghi, solo visioni e paesaggi in rovina, post bellici. In lontananza, affollati centri commerciali, con le file di auto rumorose e compulsive, implotonate dal Mercato. Intorno i miasmi delle campagne stuprate, ridotte a spettri stracolmi di veleni e morte, insieme ai fantasmi dei resti di una storia luminosa e millenaria, oramai perduta. Nella penombra, questa anima sofferente che si racconta. Quasi flagellandosi, della propria solitudine inquieta. Un rinchiudersi nel proprio io, involontario Jean Floressas Des Esseintes dei giorni nostri, come giusta resistenza a non voler condividere abitudini ed usi raccapriccianti delle folle, dominate da squallidi bisogni indotti. Svestendosi dall’etichetta di intellettuali emarginati, ma che il potere ha relegato, volutamente, come anime all’oblio. All’eremo. Una resistenza, al confino. Delle nostre coscienze.