Milano, 30 ott – Proprio mentre i dati aggiornati ci confermano come le vendite di smartphone e tablet (a breve disponibili anche in versioni per bambini) abbiano toccato il loro apice nel 2013, nella 3° elementare della scuola Enrico Toti (Milano) nasce il primo esempio di classe interamente digitale. Aderendo al progetto “Smart Future”, ideato dalla Samsung ai fini di favorire lo sviluppo e la digitalizzazione delle scuole di primo grado, la classe è stata fornita di un tablet per ogni alunno e di una e-board per l’insegnante, a sostituzione di quaderni e lavagne. Il dirigente scolastico Elena Borgnino afferma di essere “particolarmente orgogliosa di prendere parte al progetto perché significa sperimentare concretamente un percorso formativo completo e innovativo, offrendo a docenti e alunni un’opportunità unica per integrare la tecnologia all’esperienza educativa come sta già accadendo in altri paesi europei”. All’inaugurazione del progetto ha presenziato anche il sindaco Giuliano Pisapia.
Si tratta ancora di un caso isolato quello della scuola Enrico Toti; non è però da escludere che al progetto potrebbero aderire altri istituti fino ad arrivare ad una sua effettiva istituzionalizzazione. Un orizzonte che potrebbe sembrare bello ma che in realtà è quasi surreale. E’ sacrosanto adattare i programmi didattici ai nuovi sviluppi tecnologici ed informatici che variano di anno in anno. Ma non sarebbe sufficiente rimettere in piedi tutti quei laboratori di informatica, gestiti spesso da docenti non aggiornati qualora presenti, integrando il programma didattico con materie apposite e senza rinunciare all’utilizzo di carta e penna? Anche perché, de facto, smartphone e tablet sono strumenti talmente intuitivi e diffusi che le attuali generazioni imparano ad usarli appieno senza problemi anche privatamente al di fuori degli orari scolastici.
Inoltre il fatto che una multinazionale come la Samsung fornisca un progetto didattico non rischia di trasformare anche la scuola pubblica in mero luogo di marketing, violandone la terzietà per interesse economico? In più, è giusta l’intenzione di Pier Cesare Rivoltella (ordinario della didattica generale e presidente del Cremit) secondo la quale “sarà messo a punto un modello di monitoraggio che, per un progetto come Smart Future, rappresenta un elemento chiave; introdurre la tecnologia nelle classi senza verificare sulla base di evidenze cosa poi realmente succeda, non consentirebbe di capire né come orientare il progetto stesso né cosa suggerire per delle policies che intendano muoversi su più ampia scala”? Chi ci assicurerà che i dati di questo monitoraggio verranno usati a scopo solamente didattico quando una multinazionale si infiltrata così bene dentro un’istituzione tanto da fornirgli il materiale primario di lavoro? Lasciandoci il beneficio del dubbio e consci che gli scenari orwelliani appena descritti ancora non si sono presentati del tutto, ci chiediamo se tutto questo sia realmente necessario quando il 60 per cento degli edifici scolastici costruiti prima del 1974 (legge antisismica), più del 65% non ha il certificato di prevenzione incendi e il 36% ha bisogno di manutenzione (dati di Legambiente nel rapporto ecosistema scuola del novembre 2012)..
Alessandro Bizarri