Roma, 28 mar – Ridotta alla sua più intima essenza, la globalizzazione non è altro che una situazione in cui gli Stati rinunciano, spontaneamente o meno, a porre un freno alla libera circolazione internazionale dei capitali, delle merci e delle persone.
In quest’ottica, quindi, lo scopo dell’Unione Europea -e dell’euro che ne è il complemento- è chiarissimo: imporre alle vecchie socialdemocrazie europee la globalizzazione di matrice anglo-americana per poterne azzerare la sovranità economica e monetaria.
Che la globalizzazione sia incompatibile con esse infatti, non sfuggirà ad un brevissimo esame, che porremo per semplicità in sintesi elencativa:
- È incompatibile con qualunque misura volta ad ottenere la piena occupazione, in quanto se i salari crescono per effetto della diminuzione della disoccupazione, ci penserà l’importazione di manodopera allogena ad incrementare la disoccupazione marginale e quindi a riportare il sistema alle condizioni di partenza;
- È incompatibile con la difesa dei diritti sociali dei lavoratori e degli standard ambientali, perché il mercato viene invaso da beni a basso costo prodotti da nazioni che sfruttano un esecrabile dumping salariale, valutario e fiscale per attirare investimenti (si legga: delocalizzazioni).
- È incompatibile con il finanziamento dello Stato sociale, in quanto i capitali ovviamente tenderanno a sottrarsi alla stretta fiscale migrando verso lidi più “indicati”.
- È incompatibile con l’uso della svalutazione del cambio per riassorbire velocemente deficit di competitività, perché la medesima ti espone direttamente ad acquisizioni a basso costo da parte del capitale straniero.
- È incompatibile infine con una più ampia accezione di sovranità in quanto, come dimostra il caso Russo, sarà sempre possibile a qualche gruppo di speculatori affossare la valuta nazionale con un attacco ben mirato in assenza di restrizioni sui movimenti di capitale.
Sovranità e globalizzazione sono, così, mutualmente esclusivi. Questo però per chi sposa una visione del mondo che non sia fondata sull’impostazione liberale-liberista-libertaria, potrà apparire forse un’ovvietà, e magari lo è anche. Molto meno se si guarda alla prospettiva squisitamente politica con cui abili demagoghi tentano di indorare la pillola della cosiddetta “integrazione europea”: leggasi Unione Europea, perché di integrato in Europa non c’è nulla, nemmeno la moneta apparentemente unica.
Costoro giustificano tutte, ma proprio tutte le scelte delle burocrazie di Bruxelles, in particolare l’euro, nel nome della prospettiva dell’integrazione politica, ovvero della creazione di un governo federale europeo che potrà quindi essere conquistato dalle forze “antisistema” per ribaltare le fondamenta sostanzialmente liberiste e liberoscambiste dell’Unione.
Solitamente, questi figuri si rifanno al “manifesto di Ventotene” di Altiero Spinelli, un comunista, antifascista in quanto antitaliano, nemico dell’economia mista e dei monopoli pubblici. La questione non cambia se l’Europa politicamente unita ha nome “Stati Uniti d’Europa” oppure “Europa Nazione” o magari “Unione delle repubbliche Socialiste Europee”.
Questa idea di federazione europea non è un’idea nuova, ma per esempio la si ritrova già nell’economista ultraliberista Friedrich von Hayek, il vero ispiratore del progetto d’integrazione federale europea. L’idea di Hayek è quella per cui una federazione -europea prima e planetaria poi- sia il modo migliore per restaurare il mercato globalizzato puro, quello ai suoi tempi fondato sul Gold Standard, “incantesimo” rotto dagli “egoismi nazionali” che hanno imposto forme (blande oltretutto) di regolamentazione dei mercati spinti da “pressioni settoriali interne”. E’ in pratica la vecchia e stupida idea per cui è il protezionismo l’origine delle guerre, idea che non regge a due semplici domande:
- Quali casi storicamente accertati di guerra scatenata dal protezionismo si conoscono?
- In quei casi, fu la nazione protezionista o quella liberoscambista ad aprire le ostilità?
Sia quel che sia, questa idea è dura a morire, e ci viene spesso ripetuta dai soloni del politicamente corretto contemporaneo, e quindi anche Hayek ne era fermamente convinto: la causa delle guerre è l’intervento pubblico nell’economia.
Attenzione però! C’è qualcosa che apparentemente non torna in tutta questa storia: possibile che quel genio di Hayek, uno dei più psicotici ed intelligenti nemici che la civiltà europea abbia mai avuto, non abbia considerato l’eventualità che in effetti gente come Spinelli potessero avere ragione? E se veramente si fanno gli Stati Uniti d’Europa, e poi sorge in esso un regime sociale o socialista?
Ma no, Hayek era un genio come già detto, e questa possibilità l’aveva bene in mente. Hayek sta agli europeisti contemporanei (tutti, dall’estrema destra all’estrema sinistra) come Lenin sta a Vendola. Non c’è nemmeno possibilità di confronto. Ed infatti sapeva benissimo che quegli strumenti di intervento economico di cui è bene che lo Stato venga privato non possono più essere ricostituiti a livello sovranazionale. Leggiamo infatti in un suo fondamentale saggio del ’39: “La pianificazione o la direzione centrale dell’economia presuppongono l’esistenza di ideali e valori comuni; il grado in cui questa pianificazione può essere realizzata dipende dalla misura in cui è possibile ottenere o imporre un accordo su questa scala di valori comuni. È chiaro che un simile accordo avrà un’ampiezza inversamente proporzionale all’omogeneità e somiglianza dei punti di vista e tradizioni degli abitanti di una certa area. Benché nello Stato nazione la sottomissione al volere della maggioranza sarà agevolato dal mito della nazionalità, dev’essere chiaro che la gente sarà riluttante a sottomettersi a interferenze nella loro vita quotidiana quando la maggioranza che dirige il governo è composta da persone di diverse nazionalità e tradizioni. In fondo è semplice buon senso che il governo centrale di una federazione composta da popoli diversi sarà circoscritto a un limitato campo di intervento se intende evitare resistenze crescenti da parte dei vari gruppi che lo compongono. Ma cosa può interferire più pesantemente nella sfera personale delle persone di una direzione centrale della vita economica, che inevitabilmente discrimina fra i vari gruppi? Sembrano esservi pochi dubbi che il margine d’azione per la regolamentazione della vita economica di un governo federale sarà decisamente più ridotto di quello di uno Stato nazione. E poiché, come abbiamo visto, il potere degli Stati che compongono la federazione sarà stato a sua volta molto limitato, buona parte dell’interferenza nell’economia a cui ci siamo abituati diventerà impossibile sotto un’organizzazione federale”.
Capito? Una citazione forse lunga, ma consigliabile da imparaee a memoria, almeno nelle linee essenziali, e sbatterla in faccia ai figli di Spinelli ed ai loro ricattati morali del tipo “se sei contro l’Euro vuoi la guerra”. Gli americani hanno un modo molto pittoresco per definire quelle affermazioni puramente ideologiche che i vari paraguru europeisti utilizzano per far sentire in colpa l’interlocutore: Bullshit!
Matteo Rovatti