Roma, 19 ott – Era il 14 ottobre 1994 quando il mondo scoprì il genio di Quentin Tarantino. Usciva infatti nelle sale americane Pulp Fiction, dopo essere stato presentato in concorso al Festival di Cannes il 21 maggio dello stesso anno, aggiudicandosi la Palma d’Oro. Ecco così che un film nel quale il protagonista viene ucciso a metà storia diveniva in breve tempo un film cult, capace di creare un vero e proprio genere come il “pulp movie”.
Il segreto di un successo inaspettato
In realtà Tarantino aveva già diretto nel 1992 quel capolavoro che risponde al titolo de Le iene (Reservoir Dogs), prodotto da Harvey Keitel che si era innamorato della sceneggiatura di questo sconosciuto fanatico di cinema, ma era passato abbastanza inosservato al grande pubblico, il quale invece perse subito la testa per Pulp Fiction. Ma quale è il segreto di questo inaspettato e travolgente successo?
Sicuramente, come prima cosa, grandissimo merito va alla sceneggiatura dello stesso Tarantino e di Roger Avary, capace di catapultarci, grazie a dialoghi indimenticabili, in un mondo di criminali ed avventurieri che però parlano come persone qualunque, dissertando di hamburger e donne tra un omicidio e l’altro. Inoltre la struttura ad episodi, che sembrano all’apparenza slegati, alla fine si uniscono alla perfezione. Se pur non mostrati in stretto ordine cronologico, ci regalano scene meravigliose (penso a quella del ballo o a quella dell’overdose) che si reggono anche da sole, supportate da una colonna sonora che diventa un disco straordinario.
Gli attori di Pulp Fiction
E che dire poi della scelta degli attori, semplicemente perfetta? John Travolta all’epoca era un attore praticamente finito nel dimenticatoio, che grazie alla pellicola avrà una seconda giovinezza. Forma una coppia incredibile con Samuel L. Jackson, all’epoca poco conosciuto. Ma ogni attore, anche colui che interpreta un ruolo marginale (penso a Christopher Walken nella parte del padre di Bruce Willis) riesce a dare il meglio di sé, dando vita a personaggi indimenticabili. Come il Mr. Wolf di Harvey Keitel, la Mia Wallace di Uma Thurman o il Marsellus Wallace di Ving Rhames.
E poi la regia di Tarantino è praticamente perfetta, tanto da non sembrare quasi un novellino della macchina da presa e di far trascorrere in un attimo i 154 minuti di pellicola. Inoltre è uno dei rari film invecchiati benissimo. Merita di essere rivisto più e più volte anche dopo trent’anni dall’uscita (ricordo ancora il meraviglioso stupore la prima volta che lo vidi al cinema in una di quelle vecchie sale ormai soppiantate dai multisala).
Il premio per la miglior sceneggiatura
Candidato a ben sette Oscar, l’Academy non ebbe però lo stesso coraggio di Cannes, preferendogli il rassicurante Forrest Gump di Robert Zemeckis, e si aggiudicò solamente il premio per la miglior sceneggiatura originale, anche se il tempo poi ha giustamente ribaltato la gerarchia tra le due opere.
Nel 1997 Quentin farà uscire il meraviglioso e sottovalutato Jackie Brown, ma poi, a mio avviso, la sua vena artistica si è un po’ persa, finendo per diventare un eterno citazionista di se stesso. Sempre con dialoghi al fulmicotone ma molto meno al servizio di storie che sono diventate via via sempre meno interessanti (salvo The Hateful Eight del 2015, gran bel western che porterà all’Oscar Ennio Morricone). Per non parlare poi della piaga dei suoi innumerevoli ammiratori, che hanno reso il genere pulp davvero insopportabile.
Ciò non di meno il lascito di Pulp Fiction è a dir poco immenso, basti solo pensare al monologo di Ezechiele 25:17… “Il cammino dell’uomo timorato…”.
Roberto Johnny Bresso