Milano, 25 ago – E’ finita sotto sequestro per sfruttamento della manodopera – costituita per lo più da immigrati – la blasonatissima, solidarissima, radical chicchissima startup milanese Straberry. Quando si dice il caso. Fondata da un giovane imprenditore ex bocconiano e dal doppio cognome, il trentunenne Guglielmo Stagno d’Alcontres, trattava la vendita a chilometro zero di frutta e ortaggi coltivati alle porte di Milano e venduti nei quartieri del centro città con le Apecar. Un progetto pensato e sviluppato per la sinistra al caviale meneghina, vincitore dell’Oscar Green di Coldiretti nel 2013 e nel 2014, più volte citato e preso ad esempio per l’impegno ecologico. Un piccolo impero del valore di sette milioni e mezzo di euro, che ora è sotto sequestro. Stagno è infatti accusato di aver sfruttato un centinaio gli immigrati, che lavoravano senza tutele, per nove ore al giorno e pagati 4,5 euro l’ora.
L’inizio delle indagini
Le indagini, condotte dai finanzieri della compagnia di Gorgonzola, sono iniziate a maggio in seguito ad una serie di controlli di routine nelle banche dati Inps compiute sui dipendenti assunti dalla startup. E’ subito venuto a galla uno strano flusso di lavoratori assunti dalla StraBerry solo per pochissimi giorni. Solo dopo ulteriori approfondimenti da parte delle Fiamme gialle è emerso che l’azienda era solita assumere giovani immigrati facendoli lavorare a contratto solo per non più di due giorni. Poi la collaborazione veniva interrotta.
Trattati come schiavi
Un metodo astuto per aggirare i controlli ed evitare di corrispondere il lavoro svolto dagli immigrati. Ma la verità è venuta a galla lo stesso. I finanzieri hanno così appurato che per l’azienda agricola di Cassina de’ Pecchi lavoravano un centinaio di stranieri, per molte ore al giorno e con paghe da schiavi. Il pm Gianfranco Gallo ha quindi disposto il sequestro urgente dell’azienda (già convalidato dal gip) e indagato sette persone per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Sono scattate le denunce per i due amministratori della StraBerry, due «sorveglianti della manodopera», un consulente del lavoro addetto alle buste paga e due dipendenti amministrative.
La startup “umana” che non forniva nemmeno le mascherine
Come avveniva il sistema di reclutamento? Tramite il passaparola nei centri di accoglienza ai migranti. Non è tutto: i datori di lavoro non fornivano ai dipendenti i necessari dispositivi di protezione individuale contro il coronavirus nemmeno nelle settimane di maggiore emergenza.
«Avevamo avuto diversi contatti con i lavoratori di quell’azienda — dichiara al Corriere Giorgia Sanguinetti, segretaria della Flai Cgil di Milano — che lamentavano anomalie nella gestione degli orari di lavoro, scarsa trasparenza nelle buste paga e soprattutto atteggiamenti vessatori da parte dei loro referenti in azienda. In modo particolare pressioni fortissime per aumentare le vendite e controlli oppressivi». Fino alla scoperta: «Purtroppo, anche se sono vicende che siamo abituati ad associare ad altre latitudini, non possiamo meravigliarci — spiega — perché abbiamo intercettato tante situazioni di “lavoro grigio”. Ma anche se i lavoratori esprimono una forte domanda di assistenza sindacale, ci scontriamo con una forte reticenza e paura nel raccontare le loro situazioni. Ci sono meno occasioni di lavoro e i datori che ricorrono all’illegalità hanno affinato le tecniche».
Cristina Gauri
7 comments
Aveve molti cognomi oggi fa molto vip, molto chic, molto sinistva pvoletavia…
Cevto pevò, pev fave i soldi i migvanti bisogna sfvuttavli… Giusto, compagni?…
i compagni sfruttano sempre gli operai come in unione sovietica e in cina
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[…] mentre si chiacchiera di diritti dei migranti, sostenibilità ambientale e parità di genere? Peccato, davvero peccato che l’indagine condotta dalle Fiamme Gialle abbia fatto emergere un inferno di sfruttamento dell’immigrazione, coercizioni, insulti […]
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