Firenze, 25 ott – Una mano anonima. Una busta gialla contenente documenti scottanti. Documenti relativi a un processo svoltosi trent’anni fa. Un passato di abusi fisici e psicologici, sui quali grava l’ombra della violenza sessuale. Una cooperativa agricola che nasconde una setta di adepti, affascinati dalla figura di un santone convinto di essere portatore della “luce di Dio”. Potrebbe trattarsi di un romanzo di Dan Brown. E invece è l’ennesimo capitolo dello scandalo intorno alla Cooperativa del Forteto, che vede imputate ventitrè persone, e avanti a tutti il loro leader, Rodolfo Fiesoli. A pochi giorni dalla prima udienza i faldoni contenenti gli atti del primo processo intentato contro Fiesoli (terminato nell’85 con una condanna per corruzione di minore) erano misteriosamente scomparsi.
Ed ecco che il fascicolo riappare improvvisamente. Citando un articolo apparso pochi giorni fa su La Nazione: “Un fascicolo che per decenni è stato deliberatamente ignorato, trasformato in una bagatella o, peggio, in un errore giudiziario di cui il Profeta, Rodolfo Fiesoli, sarebbe stato una vittima. Un fascicolo che le voci soffiate anche nelle aule di giustizia, anche nella magistratura, avevano oscurato con calunnie, denigrazione, delegittimazione. Tentativi di delegittimazione che sembrano sfiorare chiunque scavi sul Forteto, magistrati o giornalisti che siano.” All’interno del faldone ci sono interrogatori e deposizioni dei testimoni, come quella di una coppia di Prato, che già nel 1979 riportava questo genere di dichiarazioni: “A una festa c’era un ragazzo spastico che stava in carrozzella, il Profeta disse che avrebbe fatto come Gesù quando faceva i miracoli. Lo prese, lo alzò dalla carrozzella e lui cadde. Allora gli ordinò: ‘Alzati, cammina! Te lo ordino io’. Due lo alzarono e fece dei metri a saltelloni come sapeva fare. Quindi cadde ancora di botto a terra. Il Fiesoli disse allora che ‘il miracolo era avvenuto’”
Nonostante la condanna dell’85 non alludesse esplicitamente alla violenza sessuale, proseguendo nella lettura dei documenti emerge chiara l’inclinazione di Fiesoli già dai tempi del primo processo: “Fiesoli aveva una particolare fissazione di carattere sessuale […] E’ successo due o tre volte che nel corso delle riunioni egli si sia tirato giù i pantaloni e le mutande, prendendosi in mano il membro e mostrandolo, secondo lui doveva essere un gesto disinibitorio”. E’ solo l’inizio di un racconto choc fatto di divieti ad avere rapporti sessuali fra coniugi, di richieste di rapporti omosessuali, di riunioni collettive per guardarsi reciprocamente i genitali, di parolacce, di insulti, di inviti a picchiare i propri genitori. E qui torna anche l’altro lato emerso nell’inchiesta di oggi: “Tra le cose che secondo il Fiesoli bisognava fare c’era rompere con la famiglia. A me disse che non sarei stata libera da mia madre finché non l’avessi picchiata“
Fiesolì all’epoca negò tutto, asserendo di non aver commesso niente di tutto questo. E nonostante la condanna fosse stata emessa, come ricorda l’articolo sopra citato: “Proprio in quelle stesse ore il tribunale dei minorenni allora guidato da Giampaolo Meucci gli affidò un bambino down, un segnale chiarissimo di quale parte avrebbe tenuto quell’istituzione in quel momento e negli anni successivi. Anche nonostante la condanna definitiva arrivata nel 1985 per atti di libidine violenta, corruzione di minorenne e maltrattamenti. Fu invece assolto dall’accusa di atti osceni in luogo pubblico per le sue esibizioni di genitali. Ma non perché non li avesse commessi, confermò la Cassazione, ma perché era avvenuto in un luogo privato. Il Forteto”.
E non solo. Dal fascicolo spunta anche il nome di Gabriele Chelazzi, esemplare procuratore antimafia che pagò con la vita le sue indagini intorno alla cosiddetta “trattativa Stato – mafia”. Era stato lui a scoprire per primo la degenerazione del sistema – Forteto, così come più tardi avrebbe teorizzato quella del sistema – Stato.
Francesco Benedetti