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Sanità a pezzi, il rapporto drammatico: “Due anni di coda per una mammografia, 1 su 10 rinuncia alle cure”

by Cristina Gauri
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Roma, 6 mag — E’ in atto un dramma di proporzioni gigantesche, ridotto al silenzio  dall’unico soggetto, in tema di sanità, che da due anni a questa parte sembra essere meritevole d’attenzione. Potrebbe rivelarsi un affare da centinaia di migliaia di morti sul lungo periodo, ma dal febbraio 2020 conta solo il Covid.

Se già a novembre 2020 si parlava di un milione e 400mila screening oncologici saltati, di code eterne per esami salvavita, risucchiati dagli stop avvenuti in concomitanza di ondate e restrizioni varie, la situazione, un anno e mezzo dopo, non sembra essere migliorata. Anzi. E una malattia come quella oncologica non può attendere 8 mesi per avere una diagnosi precoce. E nemmeno un infarto, o un ictus.

L’allarme Cittadinanzattiva: sanità a picco

A lanciare l’allarme è Cittadinanzattiva nel Rapporto civico di salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità, basato su 13.748 segnalazioni da parte di cittadini pervenute a 330 sezioni del Tribunale per i diritti del malato. Con la sospensione delle cosiddette «cure cosiddette non essenziali» e non «salva vita», si sono allungati drammaticamente i tempi di attesa massimi di alcune prestazioni Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva commenta così i dati emersi dal rapporto. «Durante la pandemia abbiamo fatto i conti con una assistenza sanitaria che, depauperata di risorse umane ed economiche, si è dovuta concentrare sull’emergenza, costringendo nel contempo le persone a “rinunciare” a programmi di prevenzione e di accesso alle cure ordinarie».

Milioni di prestazioni saltate 

La situazione permane ancora oggi, con la «necessità di recuperare milioni di prestazioni e i cittadini devono essere messi nella condizione di tornare a curarsi». Secondo Mandorino «allo stesso tempo la pandemia ha evidenziato anche alcune priorità di intervento, prima fra tutte quella relativa alla riorganizzazione dell’assistenza territoriale, oggetto di riforma con il Pnrr e di acceso dibattito. Tuttavia, occorrerà una lettura attenta dei contesti territoriali, individuando percorsi e non solo luoghi che favoriscano servizi più accessibili e prossimi ai cittadini, puntando molto sulla domiciliarità come luogo privilegiato delle cure, per avere maggiore attenzione alla qualità della vita».

Ritardi ciclopici

Delle 13.748 segnalazioni, ben il 71,2% riguardano i lunghissimi, ciclopici tempi di attesa. La difficoltà di accesso dovuta alle code riguarda nel 53,1% dei casi gli interventi chirurgici e gli esami diagnostici, nel 51% le visite di controllo e nel 46,9% le prime visite specialistiche. Esami che potrebbero salvare la vita con una diagnosi precoce vengono posticipati di anni. Quando il paziente (avviene in almeno un caso su dieci) non decide di rinunciare direttamente alle cure. 

Seguono poi le liste d’attesa per la riabilitazione (32,7%) per i ricoveri (30,6%) e quelle per attivare le cure domiciliari-ADI (26,5%) e l’assistenza riabilitativa domiciliare (24,4%).  Il monitoraggio mostra una situazione «molto critica quasi ovunque; sconfortante anche l’esito delle verifiche relative ai percorsi di tutela attivati dalla Regione/Asl per arginare il fenomeno delle liste bloccate».

Cristina Gauri

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