Palermo,8 nov. -“Ho deciso di restare a Palermo, perché ho ritenuto comunque che un trasferimento per ragioni di sicurezza rappresenti un segnale di resa che io non voglio dare”. Sono perentorie le parole del sostituto procuratore di Palermo, Nino Di Matteo, dinanzi alla proposta del Consiglio superiore della magistratura di ricevere di fatto la promozione d’ufficio. Il magistrato, sottoposto a quello che burocraticamente viene chiamato primo livello di protezione eccezionale a causa della rilevanza della sua inchiesta – quella sulla Trattativa Stato Mafia – che da circa un ventennio ha reso inquieti gli animi degli affiliati a Cosa nostra (e non solo), ha deciso per ora di restare a Palermo e proseguire il suo lavoro nella difficile città siciliana.
Aggiunge poi il magistrato: “La mia aspirazione professionale è quella di andare alla Direzione Nazionale Antimafia (Dna), ma solo se venissi nominato dopo una normale procedura concorsuale”. La procedura di trasferimento d’urgenza era stata avviata a seguito della comunicazione del procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, relativa ai nuovi rischi di attentato alimentati da un continuo stillicidio di lettere minatorie, minacce di morte, indiscrezioni sulla vita privata del sostituto procuratore. L’ultimo episodio in ordine di tempo riguarda un presunto mafioso, che al telefono vietava alla figlia di andare al circolo tennis frequentato da Di Matteo e affermava: “Quello lo devono ammazzare”. Un episodio che ha portato la procura di Palermo di investire il Consiglio Superiore della Magistratura, il quale ha riaperto la pratica per il trasferimento d’ufficio per motivi di sicurezza già avviato un anno fa.
Perché tanta attenzione nei suoi confronti? Il pool di Palermo, coordinato dal sostituto procuratore Di Matteo e dai giudici Tartaglia e Del Bene, impensierisce parecchio l’organizzazione mafiosa, la quale sembra tutt’altro che indebolita dai ripetuti arresti ed ergastoli. Nel 2013, infatti, a seguito delle dichiarazioni di alcuni pentiti, si è venuti a conoscenza del fatto che il tritolo destinato a Di Matteo fosse già arrivato a Palermo: la sua morte non sarebbe stata voluta esclusivamente da Cosa Nostra ma, stando a quanto riferito da alcuni collaboratori di giustizia, sarebbe stata richiesta da altri. La mafia, dunque, non è fatta solo di ordinaria amministrazione criminale, ma anche (e soprattutto) di rapporti con il potere, di scambio politico-elettorale e di favoritismi. Questo il pool di Palermo lo ha capito da anni, ma ostinatamente svolge il suo lavoro per disegnare un quadro chiaro sulla criminalità organizzata siciliana.
Come afferma Nino Di Matteo nel suo libro “Collusi”: “Sono profondamente e visceralmente attaccato alla mia città, alla mia Sicilia. Ho sempre lavorato in questa terra e l’ho sempre vissuta con quel rapporto amore-odio che appartiene al sentire di tanti siciliani. Continuo a ritenere che qui la lotta tra il bene e il male si realizzi ai massimi livelli […] Ma in questi ultimi anni ho colto l’immagine di una Sicilia che cambia. Sono soprattutto le giovani generazioni ad imporre la loro forza, il loro entusiasmo”.
Marco Fortunato