Roma, 22 nov – Nei campi rom vengono celebrati matrimoni con spose bambine e con l’omertà, se non con la connivenza, degli operatori sociali. La denuncia non viene da una fonte sospettabile di razzismo. Si tratta infatti del report “Uscire per sognare. L’infanzia rom in emergenza abitativa nella città di Roma”, presentato nei giorni scorsi dall’Associazione 21 luglio, , che da anni si occupa dei “diritti umani di rom e sinti in Italia”. Leggiamo nel documento: “Casi di matrimonio precoci tra adolescenti sono stati riscontrati anche presso alcune comunità rom provenienti dalla Romania e dal Kosovo e presenti negli insediamenti formali e informali della città di Roma, fra l’indifferenza generale di operatori sociali e mediatori che davanti ad un atto proibito dall’ordinamento giuridico italiano lo condonano in nome di una presunta ‘tradizione culturale rom'”.
Un atto di accusa molto forte, che non solo apre uno squarcio inquietante su ciò che avviene nei campi, ma mette sul banco degli imputati anche tutte quelle figure di estrazione buonista che con la scusa dell’integrazione finiscono per farsi complici dei misfatti zingari. Per il resto, il report descrive in termini piuttosto agghiaccianti la vita dei circa 20 mila minori rom che in Italia vivono in emergenza abitativa. Per loro, l’aspettativa di vita media è di circa 10 anni in meno rispetto al resto della popolazione. Dalla nascita sono esposti al rischio di malnutrizone e malattie infettive quali scabbia e tubercolosi, oltre che di infezioni virali, micotiche e veneree.
Tra gli adolescenti si registra un’elevata diffusione delle cosiddette “patologie da ghetto”, come ansia e depressione, e un consumo considerevole di alcool e stupefacenti. L’accesso all’istruzione, a partire dalla scuola dell’infanzia, è limitato e incostante. Si calcoli che, contro ogni carta dei diritti e convenzione internazionale, in Italia in un caso su 5 i minori che oggi vivono in un insediamento non inizieranno mai il percorso scolastico. Solo nell’1% dei casi avranno la possibilità di frequentare le scuole superiori e le probabilità di accedere ad un percorso universitario sono ridotte a zero. Quanto al precoce, diffusissimo e odioso avviamento alla criminalità di tali soggetti, invece, il rapporto non dice nulla. A quanto pare, il giustificazionismo in nome della “cultura rom” non ha confini.
Adriano Scianca