Roma, 28 lug – Quanto frutta l’ecologismo trendy? Dipende dal settore, quello che punta sui monopattini elettrici (ordunque non inquinanti) ha un mercato potenziale da 30 miliardi di dollari. Stando almeno a quanto calcolato dallo studio “How E-Scooters Can Win a Place in Urban Transport” del Boston Consulting Group (Bcg), che ha incrociato una serie di parametri: dal reddito disponibile alla densità della popolazione, dal clima al numero dei giovani, passando per l’apertura all’uso delle bicicletta. La stessa multinazionale americana, che ogni anno pubblica report su diverse tematiche, ha individuato 750 città nel mondo considerate “ideali” per sviluppare l’utilizzo dei monopattini. Ovvero più del doppio di quelle in cui è stata verificata la presenza di questo nuovo sistema di trasporto urbano.
Il potere dell’eco-marketing
Da questa accurata analisi è saltata fuori la cifra di 30 miliardi di dollari a livello mondiale. Analisi accurata perché tiene di conto anche delle controversie e delle incognite, considerato che alcune città hanno prima promosso e poi limitato l’uso dei monopattini, per una serie di motivi: in particolare dovuti a problemi legati alla convivenza con gli altri mezzi di trasporto e con i pedoni. Nulla di irrisolvibile, perché il settore è comunque in continua crescita. Si tratta però di una moda effimera o di un radicale cambiamento di prospettiva che inciderà sulle nostre abitudini quotidiane? Secondo la multinazionale Usa, vista la velocità con cui il marketing correlato ai monopattini si sta evolvendo, il consolidamento dell’apposito mercato è inevitabile. Inutile dire che a pesare in tale senso è anche la promozione effettuata dagli Stati, con incentivi ad hoc e pompaggi pubblicitari. Resta però la questione del diverso reddito dei cittadini e il differente grado di ricettività. Per non parlare, ça va sans dire, degli assetti urbanistici che variano da città a città. Copenhagen e Berlino, ad esempio, sono più adatte e propense ad adottare i monopattini. Incide, in questi due casi, sia la mentalità dei cittadini che la conformazione degli spazi urbani.
Chi ci guadagna?
In ogni caso, a prescindere dall’utilità o meno dei monopattini, proviamo pure a prendere per buona l’“inevitabile” diffusione. Non resta allora che chiedersi: chi ci guadagna? Guardiamo in casa nostra. In Italia i modelli che vanno per la maggiore sono Xiaomi, Segway, Hudora, Nilox, Nito e Vivobike. Chi vende di più? Il primo della lista. Come riferito da Confartigianato, il 39% del mercato italiano è infatti detenuto da Xiaomi. Nome che non inganna: è un’azienda cinese. Poi c’è Segway, già azienda americana, venduta nel 2015 a un’altra società cinese: Ninebot. Al contrario Hudora è un marchio tedesco. Gli altri del suddetto novero sono marchi italiani, ma curano più che altro progettazione e distribuzione dei monopattini. Perché nel nostro Paese scarseggiano gli impianti di produzione. Dunque, in attesa di un eventuale sviluppo made in Italy, quando acquistiamo un monopattino più che altro facciamo un favore a multinazionali cinesi e americane. Ah, l’ecobusiness.
Eugenio Palazzini
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