Tre giorni fa, la solita “Repubblica” si scandalizzava per una vignetta raffigurante Hitler, indubbiamente di cattivo gusto per le allusioni macabre, diffusa sui social contro l’arrivo all’interno della caserma Montello di Milano di almeno trecento profughi. Una vignetta che, come si può immaginare, ha riacceso nei titolisti il desiderio di lanciare l’allarme razzismo e procedere con l’ormai trita strategia mediatica per cui si grida allo scandalo per spostare l’attenzione dal vero oggetto della discussione: lo Stato costringe il suo esercito ad abbandonare una struttura nata con l’esplicita vocazione progettuale e strutturale di essere una caserma per fare spazio a persone che entrano in Italia da clandestini (e che, secondo le statistiche, per la gran parte non otterranno mai lo status di rifugiati non avendone diritto).
Mezzi di informazione sani dovrebbero scandalizzarsi o comunque informare su questo, non certo una vignetta che gira sui social e che, peraltro, innesca anch’essa quel piccolo cortocircuito che non di rado taglia la strada ai buonisti, dal momento che, tra le “imputate” per la diffusione dell’immagine, c’è proprio una cittadina straniera, polacca per la precisione, ovvero Daria Katarzyna Janik, che, a quanto pare, risulta tra le più attive del comitato spontaneo creato dai cittadini “Giù le mani dalla Montello”. Un comitato che, pur trovando comprensibilmente molte sponde politiche, con il sostegno ai presidi da parte della Lega, di Fratelli d’Italia ma anche di CasaPound, nasce infatti senza alcun riferimento partitico né politico, raccogliendo migliaia di firme contro la decisione ufficializzata giorni fa dal sindaco piddino di Milano Giuseppe Sala, dopo un incontro con il prefetto Alessandro Marangoni.
D’altronde, quando poche ore fa “Fanpage” andava sul posto ad intervistare i residenti, anche lì, a lamentarsi della situazione trovava più di un cittadino straniero, tra i quali un signore di etnia evidentemente non caucasica che lamentava la perdita di valore degli edifici in zona in seguito al cambio di destinazione d’uso, seppur apparentemente temporaneo, della struttura. «Andremo incontro al degrado che c’è in viale Jenner o in viale Padova», spiegava qualcuno. «Avere gente sconosciuta, e quindi non riconoscibile, nel quartiere è un rischio per la sicurezza», gli faceva eco un altro. «Anche questo potrebbe diventare un business», concludeva un terzo.
Razzismo o meno, salvo voler avviare indagini psico/sociologiche e non parlare più di politica, le argomentazioni ci sono tutte e sono serie, pur non rivelando, neanche queste, la questione di base: gli immigrati clandestini qui non ci dovrebbero proprio arrivare, come ha giustamente dichiarato Matteo Salvini in occasione del presidio a cui partecipava anche la Lega. «Il problema è non farli arrivare e iniziare a respingerli, cosa che in Italia non si fa», aveva giustamente sottolineato. «Le forze dell’ordine e l’esercito la pensano come noi – ha continuato – , i ragazzi della Marina militare si sono rotti le palle di fare gli scafisti. In questa caserma si gioca a guardie e ladri e vincono i ladri con le regole italiane. Dall’opposizione faremo tutto ciò che è umanamente possibile perché in questa caserma ci siano le guardie e non i potenziali ladri. A Sala e al prefetto non daremo tregua». «Bloccare le strade?», concludeva il leader della Lega Nord, «Non dovremmo arrivare a farlo ma d’altronde la gente non ne può più così come le forze dell’ordine. Arriverà il momento in cui disobbediranno anche loro perché non ne possono più». Certo, dalle parole ai fatti c’è tanta strada, ma i concetti sono condivisibili.
Il primo novembre, infatti, la caserma milanese di Montello, una struttura di ben 70mila metri quadri di cui 20mila coperti, con alloggi e dotata persino di bunker, che solo nel 2015 era rientrata in un protocollo multimilionario per la riqualificazione di varie caserme (destinata ad ospitare la Polizia di Stato) e che ospita attualmente circa duecento militari del reggimento Trasmissioni Spluga da trasferire alla Santa Barbara di piazzale Perrucchetti, sarà trasformata in un centro d’accoglienza, almeno fino a fine 2017. Una decisione seguita al no rispetto all’utilizzo del campo base di Rho, accusano il Pd e la giunta capitanata da Sala, che evita comunque la questione principale – l’esistenza stessa dei centri, i mancati respingimenti e l’assenza di blocchi in partenza – e risponde quasi fosse a capo della Caritas e non il primo cittadino del capoluogo lombardo: «c’è disumanità nel voler rifiutare il fatto che c’è gente che ha bisogno e che il dovere di una città come Milano è anche quello di essere accogliente». Al parere dei residenti, invece, non sembra dar tanto peso. Dopo tutto, ormai è stato l’eletto. Oltre una “x” sulla scheda il nulla: è la democrazia ragazzi.
Emmanuel Raffaele