Nuova Delhi, 29 nov – Mentre il governo spaccia l’inattivismo per sottile strategia diplomatica e i media più cool deridono ogni manifestazione di sostegno ai due marò, sul destino di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone torna ad affacciarsi lo spettro della pena di morte
Ad allarmare le autorità italiane e le famiglie dei due soldati ci ha pensato la polizia indiana, presentando un rapporto in cui si chiede di perseguire Latorre e Girone in base al “Sua Act”, una legge che reprime la pirateria marittima con la pena di morte. “La nostra logica – ha detto al “The Hindustan Times” un responsabile della Nia, che è appunto la forza di polizia del paese – è che uccidendo i pescatori, i marò hanno commesso un atto che ha messo in pericolo la navigazione marittima. E siccome c’è stato un omicidio, sono passibili di essere accusati in base ad una Legge che prevede la pena di morte”.
Il governo indiano ha però escluso questa eventualità: “Il caso non rientra tra quelli che sono punibili con la pena di morte”, ha detto il portavoce del governo Syed Akbaruddin. Già lo scorso 22 marzo, ha ricordato il portavoce, in una dichiarazione al Parlamento il ministro degli Esteri Salman Khushid aveva spiegato che “secondo una giurisprudenza indiana largamente applicata, questo caso non ricade nella categoria di quelle materie che richiedono l’applicazione della pena di morte, e cioè nei casi rari tra i più rari”. Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, si è limitato a confermare: l’ipotesi peggiore, ha detto, “è già stata smentita. Non intendo aggiungere altro”.
Precisazioni che giungono benvenute, anche se la rassicurazione al 100% sull’impossibilità che la situazione precipiti è di fatto impossibile, dato che la decisione finale spetta al giudice che dovrà formulare i reali capi di accusa. Il caso, insomma, è ancora più ingarbugliato di quanto sembri. E il menefreghismo della Bonino non sembra davvero la strategia migliore per venirne fuori.